Hollande, Merkel, Renzi: chi resterà?
Dopo l’uscita di scena di David Cameron, in seguito alla sciagurata avventura del referendum sulla Brexit, a breve si deciderà la sorte degli altri tre leader che hanno governato i maggiori Paesi europei nell’era-Obama. Dopo il ciclone-Trump, rischiamo di vedere passare nel dimenticatoio anche Hollande (elezioni presidenziali nella prossima primavera), Merkel (elezioni federali in estate-autunno 2017) e Renzi (referendum il prossimo 4 dicembre e scadenza legislatura nel febbraio 2018), cioè i leader di chi ha più popolazione (e più potere) in Europa: Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia fanno in totale circa 300 milioni di abitanti sui 500 della Ue.
Angela Merkel ha annunciato la sua quarta candidatura «perché non prevalga l’odio», nobile intento, che dovrà fare i conti con la naturale limatura dei suoi consensi: la sua scesa in campo è però soprattutto determinata dalla mancanza di un successore atto a vincere le elezioni. Non è per nulla sicura di essere rieletta.
François Hollande sembra già spacciato, ad ascoltare sondaggi impietosi sulla sua popolarità: si discute solo, in Francia, su chi a destra prenderà il suo posto: le primarie della destra hanno eliminato (e umiliato) l’ex presidente Sarkozy, lanciando inaspettatamente l’ex-premier Fillon, cattolico atipico, con venature di uomo forte, forse il candidato più adatto per combattere con un po’ di possibilità di successo Marine Le Pen, che comunque resta favorita nei sondaggi al primo turno, mentre al secondo avrebbe partita vinta con il candidato di sinistra ma non con quello eventuale della destra moderata.
E poi Matteo Renzi, che dopo mille giorni di governo si ritrova al bivio di un referendum rischiosissimo. Con incognite di non poco conto sulla possibilità di mantenere in piedi un governo che abbia qualche possibilità di vincere le elezioni a fine mandato, cioè nel febbraio-marzo 2018, sempre che non vengano indette elezioni anticipate.
Assieme ai dubbi sul futuro di Merkel-Hollande-Renzi, anche il futuro dell’Unione europea si trova in bilico. La tendenza nazionalista e isolazionista, di cui Trump sembra il paladino assieme a Putin, Erdogan, Orban e soci, potrebbe contagiare anche il Vecchio continente, in un’epoca di presunta “sglobalizzazione” (così cominciano a chiamarla i politologi) che in realtà è una “globalizzazione-nazionalizzata”, visto che è ormai impossibile anche solo pensare un mondo senza legami mondializzati, pensare di recidere le autostrade di ogni genere che oggi stringono il pianeta. Il nazionalismo in salsa globalizzata non sembra poter essere combattuto dall’ormai spenta fiamma socialista e socialdemocratica, né da una destra moderata che appare sparpagliata. L’incognita è dietro l’angolo, se non si riuscirà a coniugare «l’unità con la diversità», come sostiene il “grande vecchio” Edgar Morin. Sapendo che «l’unità è il tesoro della diversità umana, la diversità è il tesoro dell’unità umana».