Ho scoperto la diversità in chiave positiva
Musicista professionista, poeta e scrittore rom italiano, Santino Spinelli fa parte del primo gruppo di rom arrivati sei secoli fa negli abruzzi. Prestato al mondo accademico, come ci tiene a dire, insegna Lingua e cultura romanì all’università di Trieste. Può raccontarci qualcosa della sua vicenda personale? “La mia storia è diversa e simile allo stesso tempo a quella di altri rom. Simile forse anche per lo choc psicologico subito a scuola la prima volta che scoprii la diversità della cultura che portavo in me. Noi rom infatti, abituati a vivere senza limiti e in spazi infiniti, spessissimo non riusciamo ad adattarci e per questo rinunciamo alla scuola preferendo rinchiuderci nel calore familiare. Diversa, forse per la fortuna che ho avuto rispetto a tanti ragazzi rom: la possibilità di studiare e la grande volontà di procedere nei miei studi nonostante la diffidenza, il disprezzo, il pregiudizio. La formazione culturale è stata determinante per la scoperta della mia diversità in chiave positiva”. Com’è nata la cattedra di cultura rom presso l’università di Trieste e che significato ha? “In quanto a quest’esperienza universitaria credo che non sia un caso che questo corso sia stato istituito proprio a Trieste, una città mitteleuropea, centro di numerose confluenze culturali e linguistiche e quindi per sua natura aperta alla “diversità” e predisposta alla interculturalità. Poiché ogni cultura è portatrice di novità e merita per questo rispetto e considerazione, questa per me è un’occasione unica per diffondere in maniera veritiera la storia, la lingua, la letteratura di un popolo transnazionale che, senza mai dichiarare guerra a nessuno e senza mai darsi al terrorismo per rivendicare il proprio diritto all’esistenza, è rimasto sé stesso nel tempo e nello spazio. Ringrazio i miei numerosi studenti e Trieste per il rispetto, il calore, l’affetto e l’altissima attenzione con cui seguono le mie lezioni”. Conosciamo per lo più solo alcuni aspetti (e spesso non i migliori) del vostro stile di vita. Ma sicuramente tanti altri sono da scoprire “In effetti bisognerebbe conoscere la nostra storia, fatta di grosse persecuzioni e che ha anche un suo seppur poco noto “olocausto” per capire alcuni atteggiamenti ad esempio la mendicità e il furto coi quali veniamo spesso identificati. Si tratta di forme di resistenza passiva, non di un tratto culturale, poiché i rom fra loro non si chiedono l’elemosina né tantomeno si derubano. La mendicità zingara dunque cela resistenza, una resistenza appunto passiva, che è disubbidienza, volontà di non partecipare, ribellione pacifica. Così come il furto è un atteggiamento di rivalsa e di scherno. “Si tratta però non di espressioni culturali ma di fenomeni sociali. Faccio un esempio: quando parliamo di cultura italiana, non si spiega prima il fenomeno mafioso o camorristico, il terrorismo e la pedofilia per poi parlare di Leopardi e Verdi. In effetti bisognerebbe porsi delle domande su come viviamo ad esempio gli eventi della vita quali la nascita, la morte, il matrimonio, su quante opportunità ha il soggetto rom di potersi mettere in evidenza positivamente, sull’impegno dei media a promuovere la conoscenza della ricchezza umana e culturale del nostro popolo ”. E qui veniamo al discorso dell’integrazione. A che punto siamo? Quali sono i principali ostacoli da superare? “Ci troviamo fondamentalmente di fronte ad un conflitto fra due modi di vita opposti. Da una parte una visuale di tipo verticale con predilezione per i rapporti gerarchici, le differenziazioni di classe, l’arrivismo e il protagonismo esasperato; dall’altra una visuale di tipo orizzontale con una predilezione per i rapporti familiari. Da una parte il consumismo, l’utilitarismo applicato perfino ai sentimenti, per cui il vecchietto che non produce più viene recluso in un ospizio; dall’altra la solidarietà vissuta nelle profonde componenti umane. “Per poter cominciare un dialogo fecondo occorre spogliarsi dei pregiudizi radicati, serve uno sforzo per guardarsi nell’anima prima che negli occhi. È difficile, lo comprendo, ma è uno sforzo necessario da parte di tutti per promuovere un’effettiva interculturalità e creare le basi per una società senza conflitti. Interculturalità che non è mera conoscenza di un’altra realtà culturale ma vuol dire “vivere” un’altra cultura. L’altro, in realtà, siamo noi stessi. Occorre quindi non incontrarsi ma ritrovarsi”. Integrarsi mantenendo in pieno la propria identità. Non le pare una sfida un po’ ardua? “Secondo me è possibile quella che io chiamo la “terza via”. Mi spiego. Si poteva essere rom emarginato o assimilato. Oggi la mia esperienza dimostra alle nuove generazioni che si può restare rom, essere fierissimi della propria cultura ed identità, e nello stesso tempo essere un soggetto attivo e partecipe alla vita sociale, economica e culturale della società maggioritaria, contribuendo al suo sviluppo senza per questo avvilire la cultura d’origine. È questo, a mio avviso, la strada da battere, ma occorre munirsi, da parte di tutti, di tanto coraggio e tanta pazienza. La strada che porta alla città della felice convivenza è all’orizzonte anche se piena di insidie”. NEL NOSTRO PAESE In Italia sono presenti sinti (soprattutto a nord) e rom (centrosud) che rappresentano lo 0,16 per cento dell’intera popolazione nazionale. Di questi circa l’80 per cento ha la cittadinanza italiana, mentre il restante 20 per cento è costituito da rom provenienti dai territori dell’ex- Jugoslavia. Circa il 75 per cento è di religione cattolica, il 20 per cento di religione musulmana, il 5 per cento raggruppa ortodossi, testimoni di Geova e pentecostali.