Ho preso 10 in condotta
«Mamma, ho preso 10 in condotta». Che gioia in quel bimbo alla sua prima pagella. Magari tanti potessero dire così nelle scuole superiori, dove alla fine del primo quadrimestre di quest’anno scolastico, come hanno ampiamente ripreso i media, c’è stata una “pioggia” di insufficienze e di 5 in condotta, soprattutto negli istituti professionali. E, con i voti, pure l’annosa discussione sul sistema di valutazione, con tutte le sue fragilità. Anche perché in un voto ci sta sempre quella straordinaria e complessa “cifra” umana che è la persona. Inoltre, non sempre i criteri sono ponderati e facilmente confrontabili. Così la disomogeneità finisce per incidere sulla qualità dell’offerta educativa e, di conseguenza, sullo stesso livello culturale e produttivo di un Paese. Urge, quindi, un sistema di valutazione più competente, che sappia interrogarsi soprattutto sull’“uso formativo” dei voti, di come cioè essi possano “promuovere” la piena maturazione dello studente.
Il che la dice lunga anche sull’uso indiscriminato, quasi ossessivo, di test e di prove di verifica. Per esempio, negli Usa con il nobile intento di imprimere maggiore equità al sistema educativo (con la famosa legge “No child left behind”: nessuno studente sia lasciato indietro), l’uso di test nelle scuole è aumentato in maniera esponenziale. Nonostante ciò, dopo quattro anni, sembra che il rendimento scolastico non sia migliorato e l’interesse per lo studio addirittura diminuito. È questo soprattutto il motivo che ha indotto l’amministrazione Obama ad avviare il più massiccio investimento in educazione dopo la Seconda guerra mondiale, dagli asili alle università (American recovery and reinvestment act). Ciò nella consapevolezza, ormai diffusa, che per educare occorra saper anche ben valutare, ma che occorra un orizzonte più vasto del solo criterio del merito e una presenza educativa di più ampia portata. E non solo da parte della scuola!
Perché la vera emergenza oggi, ancor più macroscopica di quella economica, è di dar vita ad un effettivo “Patto di corresponsabilità educativa”, come prefigura anche un recente documento del ministero dell’Istruzione italiano. A condizione che non ci si appelli unicamente alla buona volontà, ma si dia concreta attuazione (e finanziamento) a sistematici programmi di ascolto e di orientamento, prevenzione e recupero.
È in questo più ampio quadro di riferimento che anche il difficile compito di valutazione dei ragazzi può diventare veramente “formativo”, espressione di quell’umanissimo incontro tra persone e tra vissuti, non meno importanti e spesso più attendibili di tante “prove oggettive”.