Ho fatto Natale
Un racconto descrive le tante anime di questa festa nel paese sudamericano dove ricchi e poveri qualche volta si incontrano
Per favore, Lucas, lasciaci in pace! Ti abbiamo dato attenzione tutto il pomeriggio, abbiamo comprato tutto quello che volevi. Adesso io e papà abbiamo il diritto di comprarci i nostri regali!”.
La signora Sonia è visibilmente irritata: la sua fronte bianca sotto l’onda dorata dei capelli è percorsa da rughe minacciose.
“La mamma ha ragione”, la segue docile il marito Edgar, “vienici dietro tranquillo mentre continuiamo le nostre compere”.
Un negozio di abbigliamento espone ostentatamente nelle vetrine abiti femminili al cui richiamo Sonia non resiste. Varie persone li hanno preceduti, le commesse sono felicemente indaffarate ad attendere il pubblico femminile, che si mostra interessato al vasto e vario assortimento. Sonia deve aspettare qualche minuto; ne approfitta per guardarsi intorno cercando di scoprire un abito per la notte di Natale, alla Messa e poi per la cena nella casa dei Moura, con i quali stanno allacciando un’amicizia per via di affari comuni fra le due ditte.
Lucas è imbronciato, si sente messo da parte e sperso in quell’agitarsi di persone e di vestiario. Approfitta della disattenzione dei genitori, esce sulla via affollata: coppie con i bambini, venditori ambulanti, poveri che chiedono l’elemosina, più generosa in questo periodo, poliziotti attenti a prendere in flagrante qualche ladroncello di primo pelo. In un incrocio un uomo con un ragazzino e una bambina suonano motivi natalizi: l’esecuzione non è perfetta, ma riesce ugualmente a creare quel clima magico. Di fatto, molti si fermano ad ascoltare e lasciano cadere sul tappetino a terra alcune monete. I bambini ringraziano con un timido sorriso: sanno che quelle monete si trasformeranno nel pranzo di Natale e si può sperare che ci sarà anche il panettone, quest’anno.
Lucas si ferma, non per ascoltare, ma attratto dal volto e dai lievi cenni di ringraziamento dei due bambini: un misto di tristezza e di gentilezza dà loro una dignità che non ci si aspetterebbe sotto quei volti e abiti che non fanno una esibizione di pulizia.
La musica si ferma, l’adulto depone la fisarmonica, raccoglie alcune monete, entra in un bar e ordina un bicchiere di grappa. I bambini lasciano cadere il flauto e il tamburello e aspettano. La gente attorno si dirada. Solo resta Lucas. Il ragazzino gli domanda: “Ti è piaciuta la musica?”.
“Sì”, Lucas è poco convinto.
“Come ti chiami?”.
“Beto e mia sorella, Jane”.
“Io Lucas. Abitate qui vicino?”.
Beto ride: “Qui è il centro. Noi abitiamo nella Vila das Flores, in periferia. E tu?”.
“Nel Jardim Luziana, qui vicino”.
“Eh, un quartiere ricco”, commenta Beto, strofinando il pollice e l’indice della mano destra per indicare soldi. Lucas arrossisce. Mai aveva parlato con poveri, che non incontra presso casa sua o nella scuola che frequenta. E poi i genitori sempre gli dicono di stare attento, perché rubano. Ricordando questo, si rende conto che non sta più con loro, ma stranamente non ne sente il bisogno, e continua il colloquio.
“Quando torna vostro papà?”.
“Non sappiamo, quando beve perde il senso del tempo”, dice Jane. “Di solito torniamo a casa soli a notte”.
“Vi aspetta la mamma?”.
“Non l’abbiamo più”, continua Jane, e abbassa la testa. “Aspettava un altro bambino e sono morti tutt’e due”.
“Ma chi vi fa da mangiare?”.
“Facciamo noi. Di sera papà non mangia. Arriva a casa e si butta sul letto”, interloquisce Beto. “A proposito, penso sia meglio tornare”, si rivolge alla sorella. Raccolgono il tappeto, mettono le monete in una scatoletta di plastica rossa. Beto si mette la fisarmonica sulle spalle, il flauto e il tamburello restano per Jane.
“Ciao”, dicono i due. Lucas non risponde, quei pochi minuti passati con loro sono stati qualcosa di nuovo, inaspettato. I genitori si sono come fatti lontani, non interessanti.
“Allora?”, domandano Beto e Jane. “Non ci saluti?”.
“Non so”, Lucas si guarda intorno, “posso venire con voi?”. I due si guardano perplessi:
“A casa nostra?”. Avrebbero molte obiezioni da fare, ma il silenzio supplicante di Lucas le fa svanire tutte.
“Va bene”, concludono senza voler pensare a tutte le conseguenze della decisione. Si avviano verso la fermata dell’autobus, che arriva poco dopo. Pochi passeggeri, perché ormai è tardi. Poi un altro autobus, su vie che si fanno sempre più contorte e piene di buche, anche gli abiti della gente che entra e scende sono come quelli dei due fratellini. Vari guardano Lucas, il suo vestito, le sue scarpe.
Scendono al capolinea in una piazzetta con due bar dove gli ultimi avventori non riescono a decidersi ad andarsene. Dopo cinque minuti arrivano alla casa: metà di tavole di legno e metà di mattoni senza intonaco. Un solo locale: cucina e due letti, in un angolo la doccia e il gabinetto. Lucas guarda, la sua stanza da letto è il triplo. Beto e Jane accendono il gas, riscaldano il riso e i fagioli e friggono tre uova. Nemmeno domandano a Lucas se gli piacciono, sono le uniche cose che ci sono. Gli mettono in mano un piatto slabbrato, riempiendolo. Lui mangia, senza pensare, in silenzio, assaporando, più che il cibo, l’aria che si respira.
Si sente da lontano un canto: sono più voci, accompagnate da una chitarra. Beto e Jane saltano in piedi.
“La novena di Natale! Oggi è nella casa di Dona Elisete e noi dobbiamo aiutare la musica”. Escono correndo e Lucas li segue. Una ventina di persone di tutte le età stanno strette in un locale male illuminato, ciascuna con un libretto in mano. Cantano, leggono il libretto che parla dell’angelo che annuncia a Maria che sarà mamma del Salvatore, commentano fra loro, pregano. Molte di quelle donne assomigliano a Maria e i bambini a Gesù (e gli uomini a Giuseppe). Lucas non ha mai visto cose così, i suoi lo portano sempre nella chiesa grande vicino al suo quartiere, dove pochi cantano e solo il prete parla. Gli sembra di stare a casa “sua”.
“Chi è questo bambino?” , domanda una donna anziana, grassa, con un volto che dice accoglienza.
“Lucas”, rispondono i due fratelli con imbarazzo.
“Come è arrivato fin qui?”. Non è necessario spiegare che non è di lì. Beto racconta fra il silenzio.
“E adesso?”, dice un giovane. “I suoi genitori? Dobbiamo riportarlo a casa!”. Il meno preoccupato sembra Lucas, che ascolta le proposte delle persone e, alla fine, è costretto dalla domanda: “Dove abiti?”. Risponde quasi meccanicamente come a uno che chiede l’indicazione di una via. Due uomini escono e poco dopo si sente l’accensione del motore di un’auto: è una vecchia Maggiolino, modello preferito in quei quartieri. Fra Lucas e Beto e Jane passa uno sguardo che dice tutto.
“Ritornerai?”
“Sì”.
“Quando?”
“Presto”.
La Maggiolino si porta via Lucas, che resta in silenzio durante tutto il percorso. La sua casa è tutta accesa, fuori un’auto della polizia, dentro amici e parenti che tentano di aiutare e consolare Sonia e Edgar. I due uomini sospingono Lucas, che è soffocato dall’abbraccio lacrimoso della mamma e dallo sguardo severo del papà: “Ma che cosa hai combinato?”. Nessuno guarda ai due che lo hanno riportato.
“Ho fatto Natale”, risponde Lucas.