Hilla Medalja donna senza paura

Casa del Cinema. Hilla, occhi espressivi sul volto giovane, racconta. Era una studentessa negli Usa – nata in Israele – alla ricerca di un soggetto per il lavoro conclusivo all’univer sità. Ho pensato allora di girare un film, raccontando non la mia storia personale, ma una che riguardasse altre persone. Volevo che, guardandola, i miei amici si rendessero conto dei motivi per cui esiste un conflitto così duro tra palestinesi ed israeliani. La storia la trova scritta sul giornale. Il 29 marzo 2002, due ragazze diciassettenni muoiono: Ayat al- Akhras, kamikaze palestinese, e la vittima, in un supermercato, l’israeliana Rachel Levy. Sogni diversi, accomunati dalla fine violenta. Appena viste le foto, ho deciso che questo sarebbe stato l’argomento del mio film. Le riprese sono durate a lungo: cominciate un mese dopo l’attentato, nell’aprile 2002, si sono concluse, sempre in aprile, nel 2007. Nel frattempo, Hilla si è laureata, ha trovato i soldi per il film, dopo oltre un anno di ricerca. Quando ho cominciato – racconta, calcando bene le parole – non ho riflettuto immediatamente sul significato di ciò che mi si narrava; è stata la madre israeliana che mi ci ha fatto pensare. Sapevo che avrei dovuto fare incontrare le due madri, ma ero convinta che non avrei mai assistito a questo momento. Invece l’incontro è avvenuto, ma via satellite. Ore drammatiche. Io stavo insieme alla famiglia palestinese. La tensione si tagliava a fette durante quelle quattro ore – un tempo infinito, lo si nota nei venti minuti ripresi dal film -. Eppure, nessuna delle due se n’è andata – come temevamo -: segno che le madri, quella della vittima e quella dell’attentatrice, in qualche modo volevano trovare un rapporto tra loro, una soluzione. Infatti, bisogna sedersi a parlare dei problemi, a dibatterli. Come accade di continuo nel film. E anche dopo la proiezione. A Roma il dibattito si accende subito fra gli spettatori. Dopo il film – continua Hilla – le persone avvertono il conflitto nel loro cuore, si sentono sconvolte. La reazione è diversa da Paese a Paese. Per esempio, gli ebrei d’America reagiscono diversamente da quelli di altre nazioni o da località dove c’è una comunità più araba, musulmana. Del resto, il film andrà in Israele su un canale satellitare, e poi sul canale arabo Mdc, per cui verrà visto in tutti questi Paesi . Hilla è persona di carattere. Non ha paura di rappresaglie da parte di fanatici: Il film non è critico né verso Israele né verso i palestinesi, è solo un documentario sulla vita reale. Piuttosto, aggiunge, vorrei farlo vedere ai bambini sia palestinesi che ebrei: chiedergli il motivo per cui, secondo loro, le due madri si comportino in quella maniera, abbiano quel determinato modo di pensare; perché una volta che si capisce cosa vuole l’altro e lo si conosce, forse si può trovare una soluzione ai problemi. Io, ad esempio, sono cresciuta in Israele. Ma prima di girare il film non ero mai entrata in un campo profughi. Eppure ce n’era uno a venticinque chilometri da casa mia…. Servirà alla causa della pace il lavoro di Hilla? Forse è un po’ troppo pensare a questo – commenta -. Però, se si riuscisse a cambiare il modo di vedere di un piccolo gruppo, per me sarebbe già un buon risultato . Per ora, sta lavorando ad un nuovo film, Dopo la tempesta: racconta di un gruppo di professionisti di Broadway che si recano a New Orleans presso una comunità e iniziano a lavorare con i bambini… Sarà un docufilm sulle loro storie – conclude -. Come ogni mio lavoro, cercherò di parlare dei problemi della società e di farli conoscere alla gente.

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