Herbert Blomstedt: il gentiluomo del podio
Si muove a passi lenti, accompagnato dal giovane e scattante primo violino, il siciliano Andrea Obiso. Il signore anziano e asciutto, dalla gran chioma bianca è Herbert Blomstedt, 96 anni in estate. Svedese di origine, ma americano di nascita e di formazione, è una leggenda del podio. Sale, si siede e inizia il concerto: Terza Sinfonia, molto giovanile, melodica, rossiniana di Franz Schubert e poi la lunghissima, intensa Quarta Sinfonia di Anton Bruckner, oltre un’ora ininterrotta di musica. Lui dirige – a 96 anni! – a memoria, gesto parco, delicato e gentile, ma rigoroso nel dare gli attacchi, nell’accompagnare i blocchi sonori e le bordate magmatiche di quel mistico e titanico problematico che è Bruckner.
Cosa ha in cuore il vecchio direttore, sul podio dal 1954 quando ancora dirigeva un personaggio come Toscanini? È lungo l’elenco delle orchestre europee e americane che ha diretto, poche purtroppo le presenze in Italia, qui a Roma solo nel 1994, 1996 e 2021. Blomstedt ha una giovinezza che si afferma nel sorriso lieto con cui accompagna la musica, nello sguardo sereno e coinvolgente con cui si rivolge agli strumentisti, nel gesto pacato con il quale guida un’orchestra spinta dall’entusiasmo e da questa figura mitica a dare il meglio. E lo dà: sentire la leggerezza e il brio in Schubert, sentire gli ottoni superwagneriani, il canto dei violoncelli, il rombo dei timpani in Bruckner.
Ma nessun effetto, nessuna retorica. Il pubblico segue col fiato sospeso l’uomo seduto sul podio che a fine concerto interrompe l’applauso spontaneo per chiedere quegli istanti di silenzio dove il suono ancora aleggia nell’aria “senza suono”. Poi, l’entusiasmo è alle stelle. Lui cammina piano, si inchina, entra ed esce con Obiso che lo accompagna, come se tutta l’esperienza del vecchio stesse passando al focoso violinista. È un passaggio di consegne.
Due ore di musica, passate in un soffio. Merito di una orchestra che può fare quel che vuole, tanto è coesa, ma qui merito di un gentiluomo che unisce l’aristocrazia dell’essere a quella della musica che il gesto, il volto, il sorriso ottengono e fanno scendere come da un altro mondo, passando al pubblico come una corrente elettrica, ma piana e dolce.
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