Hélène Grimaud, il piano al femminile
Un tocco morbido, carezzevole, alcune accensioni delicatamente preromantiche. È il suono che la pianista provenzale, alta e slanciata, quasi figura eterea, trae dal Quarto concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven. Il più poetico, lirico e misterioso dell’autore, a incominciare dall’inizio affidato alla frase sola del piano cui poi segue dolcemente l’intervento dell’orchestra. È un Beethoven tutt’altro che titanico, invece tenero, ipersensibile, un cuore bisognoso di comunicare, si direbbe. Nessuna durezza, quindi, il virtuosismo scivola come una perla, l’orchestra diretta da Antonio Pappano accompagna senza clamore, con un suono meno aspro con cui aveva attaccato la serata nella sinfonia dalla Cenerentola rossiniana.
La pianista tocca pianissimi in filigrana, cesella le note, regala cadenze funamboliche ma non invasive e chiude con due bis al pubblico esultante. Ci mancava un Beethoven al femminile, tutto sensibilità e grazia.
Nell’ultima parte l’orchestra sfolgora in pienezza. Pappano infatti dà fuoco alle polveri della immaginifica, maestosa Terza sinfonia di Saint-Saëns, in quel repertorio tardoromantico in cui il direttore è un maestro. C’è anche l’organo, così che l’orchestra diventa una gigantografia musicale dai colori iridescenti, con passaggi dal lirico al tonitruante, dal calore dei violoncelli al clangore apocalittico degli ottoni, alla furia delle percussioni, alle delicatezze delle imitazioni settecentesche. Insomma, un mondo neobarocco alla D’Annunzio, molto fin de siècle. Direzione appassionata ed esplosiva, orchestra perfetta. A Roma, all’Accademia nazionale Santa Cecilia.