Hebron, alla Tomba dei patriarchi
Dove l'odio s'è materializzato. La tomba divisa tra musulmani ed ebrei. Dal blog In viaggio
La Tomba dei patriarchi in realtà è un complesso edificio che contiene, oltre alla moschea e alla sinagoga, anche una chiesa e la caverna Macpela – luogo che la tradizione biblica ritiene sia stata comprata da Abramo agli ittiti per seppellirvi la moglie Sara, e poi lui stesso vi fu sepolto, assieme a Isacco e Giacobbe con le loro mogli –, con architetture miste di età erodiana, crociata e islamica.
Le tombe di Abramo, Isacco, Giacobbe, Rebecca e altri patriarchi ancora di per sé non sono particolarmente attraenti. Almeno l’interno dell’edificio, spesso piegato nella sua austera bellezza alle esigenze votive degli uni e degli altri, non appare straordinario, mentre l’esterno è possente e nel contempo elegante. Ma i check point lo deturpano, nel silenzio più totale del classico vociare dei turisti, che non ci sono più dalla strage compiuta nel 1994 da un colono israelita proprio all’entrata della tomba. Sono il solo visitatore che non sia musulmano-palestinese, nella sezione a moschea, o ebreo-israeliano, nella sezione a sinagoga.
In particolare mi colpisce la depressione che abita i musulmani nella moschea, con le loro preghiere strascicate e doloranti, direi sanguinolente, e dall’altra parte la frenesia di ebrei che paiono tutti estremamente ortodossi, al limite del fanatismo. Nella sinagoga c’è un grande afflusso di soldati, giovani reclute mi sembrano, tutti estremamente compiti e assorti nella preghiera ondeggiante e sincopata tipica degli ebrei. Si comportano come se non ci fossi, mi danno l’impressione di persone talmente concentrate su sé stesse da non accorgersi che il mondo è colorato. La paura gioca brutti scherzi.
Nel cammino a ritroso lungo l’arteria commerciale che conduce alla Tomba, tutti i commercianti palestinesi, nessuno escluso, e un numero imprecisato di mocciosetti che vogliono vendermi dei braccialetti coi colori della bandiera palestinese, mi invitano a comprar qualcosa. Anche il mercante di legumi secchi, anche il fabbro ferraio, anche il calzolaio. E vorrei offrir loro qualcosa, ma sarebbe fatica infinita, una goccia nel mare. Li prendo con me, nel mio cuore, li accetto nella loro disillusione, così come porto con me quei soldatini di piombo. Piombo di paura.
Le tombe di Abramo, Isacco, Giacobbe, Rebecca e altri patriarchi ancora di per sé non sono particolarmente attraenti. Almeno l’interno dell’edificio, spesso piegato nella sua austera bellezza alle esigenze votive degli uni e degli altri, non appare straordinario, mentre l’esterno è possente e nel contempo elegante. Ma i check point lo deturpano, nel silenzio più totale del classico vociare dei turisti, che non ci sono più dalla strage compiuta nel 1994 da un colono israelita proprio all’entrata della tomba. Sono il solo visitatore che non sia musulmano-palestinese, nella sezione a moschea, o ebreo-israeliano, nella sezione a sinagoga.
In particolare mi colpisce la depressione che abita i musulmani nella moschea, con le loro preghiere strascicate e doloranti, direi sanguinolente, e dall’altra parte la frenesia di ebrei che paiono tutti estremamente ortodossi, al limite del fanatismo. Nella sinagoga c’è un grande afflusso di soldati, giovani reclute mi sembrano, tutti estremamente compiti e assorti nella preghiera ondeggiante e sincopata tipica degli ebrei. Si comportano come se non ci fossi, mi danno l’impressione di persone talmente concentrate su sé stesse da non accorgersi che il mondo è colorato. La paura gioca brutti scherzi.
Nel cammino a ritroso lungo l’arteria commerciale che conduce alla Tomba, tutti i commercianti palestinesi, nessuno escluso, e un numero imprecisato di mocciosetti che vogliono vendermi dei braccialetti coi colori della bandiera palestinese, mi invitano a comprar qualcosa. Anche il mercante di legumi secchi, anche il fabbro ferraio, anche il calzolaio. E vorrei offrir loro qualcosa, ma sarebbe fatica infinita, una goccia nel mare. Li prendo con me, nel mio cuore, li accetto nella loro disillusione, così come porto con me quei soldatini di piombo. Piombo di paura.