Händel fra giubilo e pianto

Abbazia di Westminster. Davanti alla tomba del genio musicale barocco

Addentrarsi nella “foresta” di personaggi illustri che riposano tra le navate, nel transetto e nel chiostro dell’antica chiesa abbaziale di Westminster, il più importante luogo di culto anglicano, sede delle incoronazioni dei sovrani d’Inghilterra, è fare un vero viaggio nella storia, passando in rassegna monarchi inglesi con le loro consorti, statisti e politici, letterati e poeti, esploratori e filantropi, artisti e attori… E poi compositori come il tedesco Georg Friedrich Händel naturalizzato inglese come George Frideric Handel, uno dei geni del periodo barocco, che trascorse gran parte della sua carriera a Londra diventando celebre come musicista di corte.

Il monumento che sovrasta la sua tomba lo rappresenta in piedi, senza la pesante parrucca col quale di solito appare nei ritratti d’epoca, mentre con la destra regge lo spartito del Messiah, forse il suo capolavoro, alla pagina dell’assolo di soprano che apre la parte terza con le parole: «So che il mio Redentore vive e che rimarrà fino alla fine dei giorni della terra». Qui Händel sembra in ascolto dell’ispirazione, rappresentata in alto dall’angelo che suona l’arpa. Altri strumenti gli sono accanto, fra cui l’amato organo, nel quale superò lo stesso Domenico Scarlatti, col quale si trovò a gareggiare a Roma nel 1708.

Tedesco di Halle (ducato di Magdeburgo), dov’era nato nel 1685, Händel soggiornò per alcuni anni in Italia, dove arricchì le sue conoscenze musicali, produsse lavori soprattutto di soggetto sacro ed ebbe contatto con i maggiori compositori del tempo. Più tardi, alla corte d’Inghilterra, ebbe gloria e riconoscimenti come nessun altro musicista. Perfino una statua gli venne eretta, lui vivente. Ma dovette combattere contro scandali e rivalità da parte dei sostenitori della “moda italiana” in musica, in auge all’epoca.

La sua frenetica attività musicale (compose 42 opere, 29 oratori, 16 concerti d’organo e numerosi altri pezzi di vario genere) si attenuò negli ultimi anni a causa dei problemi di salute, senza cessare mai del tutto fin quasi alla morte (14 aprile 1759).

Dopo un periodo di quasi oblio, dovuto all’emergere di altri gusti in campo musicale (ma alcune composizioni come la Musica sull’acqua, la Musica per i reali fuochi d’artificio e il Messiah non erano mai uscite dal favore del pubblico), a partire dal 1960 l’interesse per le sue opere è andato crescendo con la rinascita della musica barocca e delle esecuzioni con strumenti d’epoca.

Händel non si sposò mai. Del resto aveva sposato la musica, da lui appassionatamente amata fin da giovanissimo, nonostante l’opposizione del padre che lo aveva destinato all’avvocatura.

Presso la sua tomba a Westminster un epitaffio anonimo recita: «Sotto questo luogo sono riposti i resti di George Frideric Handel, il musicista più eccellente che qualsiasi età mai produsse, le cui composizioni erano un linguaggio sentimentale piuttosto che meri suoni. Egli superò il potere delle parole nell’esprimere le varie passioni del cuore umano».

Tra queste passioni, due vanno sottolineate: la gioia (o esultanza) e il dolore. Metafora della prima è il celeberrimo Allelujah tratto dal Messiah. Quando nell’agosto del 1741 Händel ebbe tra le mani il libretto di Charles Jennens, ne rimase così colpito che, in preda ad un vero furore creativo, ultimò in soli 24 giorni questo oratorio della durata tra due ore e due ore e mezzo, a seconda delle versioni. In esso la massa corale predomina sulle quattro voci soliste, alternando momenti di giubilo a varie invocazioni, in una grande varietà di contrasti sonori.

Il Messiah venne eseguito per la prima volta il 13 aprile 1742 a Dublino, con finalità benefiche. Del suo travolgente successo così scrisse il Faulkner’s Journal: «Martedì è stato eseguito al New Music Hall il Messiah, l’ultimo grande oratorio sacro di Händel. I migliori intenditori sono stati concordi nel giudicarlo il suo più compiuto lavoro musicale. Mancano le parole per esprimere il raffinato piacere che esso ha prodotto nel numerosissimo pubblico. I sentimenti più sublimi, grandi e delicati, adattati alle più elevate, maestose e commoventi parole, hanno concorso a trascinare e ad affascinare il cuore e l’orecchio estasiati…».

Fu proprio dirigendo questo oratorio il 6 aprile 1759 che il compositore fece la sua ultima apparizione pubblica. Otto giorni dopo sarebbe morto all’età di 74 anni. Simbolo della sua stessa arte musicale, il Messiah divenne una vera e propria ossessione nazionale nella Gran Bretagna dell’epoca vittoriana ed è oggi tra le opere più popolari della musica corale, eseguito ovunque, utilizzato in film, serie tv, perfino spot pubblicitari…

All’estremo opposto è un’altra immortale pagina händeliana, dove non si sa se prevalgano tristezza, rassegnazione, impotenza davanti al destino o fascino consolatorio: Lascia ch’io pianga, tratta dall’opera seria in italiano Rinaldo e da molti ritenuta una delle più belle “arie” della storia della musica. Ispirata alla Gerusalemme Liberata di Tasso, la complicata vicenda vede Almirena, la bellissima figlia di Goffredo di Buglione e promessa sposa a Rinaldo, prigioniera nel castello della maga Armida, che tenta di attirare e sedurre anche il baldo guerriero crociato. Di Almirena s’innamora anche il re pagano Argante, già amante della maga, ma viene respinto con sdegno dalla fanciulla, che reagisce con uno struggente canto diventato nel tempo – come il Va’ pensiero di Verdi – indimenticabile espressione delle sofferenze umane in ogni epoca.

Il testo lirico («Lascia ch’io pianga/mia cruda sorte/ e che sospiri/la libertà./Il duolo infranga/ queste ritorte/ de’ miei martiri/sol per pietà») e lo stupendo motivo melodico hanno sollecitato l’arte dei più svariati interpreti, compresa un’icona della musica contemporanea come Barbra Streisand. Nel clima di recupero del repertorio barocco, l’aria è diventata un cavallo di battaglia di controtenori come l’argentino Franco Fagioli e il francese Philippe Jaroussky, che raggiungono in modo naturale, attraverso lo studio e la disciplina del falsetto, la tessitura tipica dei celebri “castrati” dell’epoca barocca, ai quali erano riservate le parti femminili.

 

 

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