Hamas, le elezioni, la democrazia

Con l’apertura della nuova legislatura palestinese il problema di Hamas, uscita vincitrice dalle urne, si pone alla comunità internazionale nei termini di un difficile dilemma. Da una parte, infatti, il voto palestinese rappresenta un esercizio di democrazia in un contesto, quale quello mediorientale, dove essa è ancora una merce rara. Ci sarebbe dunque di che rallegrarsi, senonché – ed è questa l’altra faccia della medaglia – Hamas è un’organizzazione dai molti lati oscuri, che non ha rotto i ponti con i metodi terroristici e che soprattutto non è un partner negoziale molto attendibile per un interlocutore (Israele) di cui auspica la distruzione. Ci si accorge così che la democrazia, intesa come scelta del metodo del dialogo all’interno e nell’arena internazionale, non è costituita dalle sole elezioni. La democrazia – ed è questa una piccola lezione per Washington e per Bruxelles – non è un processo di allargamento, è un processo di approfondimento. La pianta democratica ha bisogno di radici democratiche e quindi della pazienza e del duro lavoro dei coltivatori, non della fretta dei mietitori. Gli scenari che si prospettano vedono inoltre in Hamas un nuovo, pericoloso capitolo, sia pure per procura, della contrapposizione sempre più frontale tra Washington e Teheran. Gli Stati Uniti, infatti, ma anche in buona misura l’Unione europea, ritengono che il lato oscuro di Hamas possa contare su cospicui finanziamenti e sostegno organizzativo da parte di chi vorrebbe cancellare Israele dalla carta geografica. Per controbilanciare le tentazioni di Hamas in tal senso, minacciano di tagliare i fondi non umanitari all’autorità palestinese, come, in un altro contesto, sta facendo da parte sua Israele non devolvendo ai palestinesi i proventi doganali loro spettanti. È una buona strategia? Ne vedremo i risultati. Per il momento pare che il rischio sia da un lato quello di radicalizzare ancora di più le posizioni di Hamas, dall’altro di spingerla proprio nella braccia di chi è comunque disponibile ad aprire i cordoni della borsa. Ciò che è certo è che il recente viaggio del Segretario di stato americano Condoleezza Rice in Egitto, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, concepito per tentare un isolamento di Hamas attraverso il taglio degli aiuti finanziari, non ha portato a nulla. D’altra parte, come abbiamo sperimentato in molte altre occasioni, tali misure sanzionatorie finiscono per pesare di più proprio sulla popolazione civile innocente. Occorre pazienza, occorre dialogo: due beni sempre più scarsi ma sempre più necessari.

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