Hajar e la transizione araba

Una giornalista marocchina incarcerata per avere un amante e avere abortito, suscita proteste molto accese nel Paese. È il cambiamento di mentalità delle nuove generazioni? L’onda lunga degli eventi del 2011

Oggi val la pena di raccontare una storia marocchina: il tribunale di primo grado di Rabat ha negato la richiesta di rilascio provvisorio della giornalista Hajar Raissouni, perseguita per «aborto illegale» e «sesso al di fuori del matrimonio». Hajar Raissouni, 28 anni, giornalista del quotidiano Akhbar al-Youm, rischia fino a due anni di prigione perché il codice penale marocchino punisce il sesso non coniugale e l’aborto quando la vita della madre non è in pericolo. Il caso ha provocato forti reazioni nel regno e anche fuori. Numerose organizzazioni internazionali per i diritti umani denunciano la grave violazione delle libertà individuali. La giovane donna è stata arrestata il 31 agosto davanti a una clinica di Rabat da 6 agenti di polizia in abiti civili. Altre 4 persone sono state arrestate con lei: il suo fidanzato, Rifaat al-Amin, un accademico sudanese che avrebbe dovuto sposare a metà settembre; il dottore accusato di aver abortito; due membri dello staff della clinica. La giornalista afferma semplicemente di essere stata curata per emorragie interne.

Morocco Journalist Trial

Gran baccano sui social. «L’arresto di Hajar Raissouni ha suscitato scalpore nella società civile. La criminalizzazione del sesso extraconiugale e dell’aborto è uno sfortunato anacronismo in un Paese la cui gioventù vuole la modernità e la libertà individuale», ha affermato Karim Douichi, direttore del giornale Maghreb Intelligence. Non sembra che vi siano ragioni politiche all’arresto di Hajar Raissouni, ma di “polizia medica”.

Fin qui la notizia. Al di là del fatto in sé e del giudizio etico e politico che può essere dato a una vicenda che racconta di un problema sociale e morale gravissimo come l’aborto, la news racconta non poco di quanto sta avvenendo nel Maghreb, e più in generale in tutta l’Africa del Nord: l’ormai quasi totale apertura ai social e ai media occidentali sta in effetti piano piano cambiando la mentalità dei giovani di questi Paesi, in particolare in Marocco (che conosce un cambiamento legislativo progressivo, verso il diritto europeo), Algeria (che non vede scemare dopo 7 mesi la protesta popolare), Tunisia (in piena campagna elettorale presidenziale) ed Egitto (proprio in questi giorni teatro di manifestazioni anti al-Sissi), meno nella Libia (che ha problemi ben più gravi di guerra e insicurezza generalizzata).

Sta accadendo che, rispetto alle generazioni precedenti, che sono state sostanzialmente imbrigliate in sistemi politico-mediatici analogici e spesso dittatoriali o quasi, i giovani locali hanno la possibilità di un continuo confronto d’opinioni non solo tra di loro, ma anche con giovani e meno giovani al di là del Mare Mediterraneo e dell’Oceano Atlantico. Poco alla volta la loro mentalità sta uscendo non tanto dalla cappa “musulmana” ma da quella “culturale”, spesso imbrigliata nei lacci e lacciuoli di un controllo sociale spietato. È un fenomeno dal carattere sociale più che politico, in ogni caso.

Nel 2011 la cosiddetta Primavera araba, sorta come si ricorderà in Tunisia, aveva fatto gridare l’Occidente a una svolta imminente della tradizione sociale e politica in particolare del Nord Africa. Ma le vicende politiche e religiose susseguenti avevano gelato la speranza dei governi occidentali, in particolare quello statunitense, che avevano cercato di cavalcare la tigre della protesta, spesso cercando di rinfocolare le rivolte a fini meramente politici sia con dichiarazioni che con aiuti concreti ai contestatori.

Qualcuno suggerì di parlare allora di “Transizione araba”, con meno enfasi e più realismo. Oggi, a 8 anni di distanza, ci rendiamo conto che qualcosa effettivamente è cambiato: effettivamente siamo di fronte a una molto più lenta transizione, lenta ma reale, determinata in particolare dai molteplici e crescenti contatti tra mondi che, prima separati “analogicamente” dalla barriera mediterranea, ora sembrano essersi “digitalmente” ravvicinati. I movimenti sociali e politici hanno bisogno di progressivo radicamento nella mentalità del popolo, ma poco alla volta emergono per ragioni soprattutto demografiche, con la sostituzione progressiva delle generazioni. La politica ha bisogno di pazienza.

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