Haiti, i primi aiuti tra le macerie
Ancora non si conosce il numero delle vittime, né è possibile valutare con precisione l'entità dei danni e gli interventi da mettere in atto. Ma intanto chi era sul posto già prima del sisma ha iniziato a muoversi.
I lanci di agenzia si affastellano: centomila morti, no, di più, forse alla fine saranno cinquecentomila, oltre tre milioni i feriti e gli sfollati. Ma nel caos generale, come ha ricordato anche il presidente americano Obama, l’importante, più che fare i conti, è fare in fretta. La comunità internazionale si è già mossa: l’esercito americano è già atterrato sull’isola con squadre di medici e specialisti, ed è ormai quasi a destinazione anche il C-130 della nostra aeronautica militare. A dare aiuto concreto e tempestivo è però soprattutto chi era presente sul posto – il Paese più povero del continente americano, con un’aspettativa di vita di 50 anni e il 55 per cento della popolazione analfabeta – già da prima del sisma: Medici senza frontiere, Croce Rossa, missioni cristiane, Caritas Internazionale ed altre organizzazioni umanitarie. Che, nonostante le perdite subite – in termini sia di operatori morti sotto le macerie che di danni alle infrastrutture – hanno subito avviato la macchina della solidarietà.
La Fondazione Rava, che ha aperto nell’isola un ospedale pediatrico nel 2006, ha imbarcato su un primo aereo già questa mattina i propri tecnici. I danni alle strutture sono ingenti: «L’ospedale al momento non è agibile – spiegano dall’ufficio stampa della Fondazione – e 150 bambini sono stati trasferiti sotto le tende». Non ha invece resistito al sisma il vecchio ospedale, usato come foresteria per gli operatori: nel crollo è morto il fratello di una volontaria americana. Fortunatamente hanno retto il centro di riabilitazione per bambini disabili e l’orfanotrofio, che ospita 600 bambini. La Fondazione sta ora organizzando l’invio di altri aiuti, raccogliendo medicinali e personale volontario. «Privilegiamo chi ha già esperienza sul campo – specifica l’ufficio stampa – perché Haiti è una realtà difficile: mancano le infrastrutture, e gli episodi di sciacallaggio si sono già verificati numerosi. Ma in emergenze come questa, parte anche chi non è mai stato sull’isola». Come base operativa sarà utilizzato il capannone per lo sviluppo delle attività artigianali, destinato alla formazione professionale dei ragazzi dell’orfanotrofio: avrebbe dovuto essere inaugurato il mese prossimo, ma ora sarà necessario valutare la situazione, sebbene non abbia riportato gravi danni.
Anche la Caritas, presente ad Haiti già dal 1975, ha fatto tesoro della propria rete attiva sul posto: «Dopo una fase iniziale, durata fino a ieri sera, in cui non sapevamo nemmeno se gli operatori fossero vivi – ci racconta Paolo Beccegato, responsabile della sezione internazionale di Caritas italiana – abbiamo saputo che stanno tutti bene. Non si hanno però notizie del vescovo, mons. Dumas. Il seminario è crollato, diversi seminaristi e suore sono morti. La Chiesa haitiana non ha mai subito una perdita così grande». La Caritas dispone di undici centri, che si sono già attivati per i primi aiuti e l’accoglienza dei senzatetto. È inoltre in arrivo un team di dieci esperti, per valutare come organizzare al meglio gli interventi futuri. «Sarà necessario avviare un programma molto ampio – ci spiega Beccegato – e speriamo nella risposta generosa della gente, che non è mai mancata in passato. Per ora abbiamo messo a disposizione 100 mila euro di nostri fondi di riserva, e stanno già arrivando le prime donazioni. Ma stiamo parlando di miliardi di dollari di danni».
All’emergenza umanitaria si aggiungono poi le tensioni politiche e sociali: la Repubblica dominicana, l’altra metà dell’isola, ha rafforzato i controlli alle frontiere, per evitare un esodo di sfollati entro i suoi confini. «Santo Domingo è sempre stata la prima destinazione dell’emigrazione haitiana – spiega Beccegato – perché, pur non essendo uno Stato ricco, la differenza economica tra i due Paesi è comunque forte: il confine è sempre stato sorvegliato, altrimenti metà degli haitiani se ne sarebbe andata. Ed ora ancor di più la gente vuole scappare». Scappare verso un destino non necessariamente roseo: «Santo Domingo ha già difficoltà a gestire la situazione degli immigrati da Haiti, che, spesso sfruttati come manodopera a basso costo e di basso livello, fomentano tensioni sociali rilevanti. Trovo comprensibile l’atteggiamento della Repubblica dominicana».
Sia la Caritas che la Fondazione Rava fanno appello alla generosità degli italiani: tutte le informazioni per dare il proprio contributo si possono trovare nei relativi siti (clicca sui nomi per andare al sito).