Haendel, Messiah
Roma, Fabio Biondi dirige Orchestra e coro dell’Accademia Nazionale Santa Cecilia.
Celebre per l’Allelujah, che purtroppo udiamo in tutte le salse e nei momenti televisivi meno appropriati, l’oratorio in tre parti per soli, coro e orchestra, è stato presentato a Roma nella versione di Dublino, del 1742, che fruttò all’autore un immenso successo. Bisogna dire che quella irlandese, rispetto alla prima versione di Londra, ha un tono assai diverso. Se il trionfalismo aveva caratterizzato, nel suo fulgore barocco, il Messiah londinese, qui Haendel rimpicciolisce il fasto sonoro in favore di una atmosfera più intima e meno gloriosa. Certo, le arie si dipanano in melodie carezzevoli e gorgoglianti, con i “da capo” così belli da far pensare a certe sete nei ritratti dell’epoca e con i sentimenti accompagnati da commenti vaporosi dell’orchestra. Haendel, lo si avverte, è un operista, e l’amore per il canto in sé sopravanza talvolta l’empito religioso. Il quale viene in rilievo nei cori, splendenti di luce.
Ecco, la luce. Essa caratterizza questa musica. Fabio Biondi con un coro eccellente e solisti perfetti (Carolyn Sampson, Romina Basso, Jeremy Ovenden, Vito Priante), di voce ed espressività seducenti, con un’orchestra attenta ai colori, ha dato del Messiah una lettura di un luminismo pacato. Quasi un poco malinconico. Haendel è sempre una sorpresa.