Habemus legem?
Grande attivismo dei partiti sul fronte della legge elettorale, almeno a parole. Pressati dall’opinione pubblica e dai sondaggi che pongono proprio i partiti all’ultimo posto della fiducia “istituzionale” dei cittadini, i nostri politici danno finalmente mostra di voler aprire il capitolo delle riforme. Il Pdl, partito di maggiornaza relativa in Parlamento, si è fatto parte diligente avviando consultazioni bilaterali con gli altri partiti, sfociate in note congiunte con il Pd e con il Terzo polo. In tali dichiarazioni si afferma a chiare lettere la necessità di «cambiare l’attuale sistema elettorale restituendo ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti».
Il presupposto quindi è irreprensibile; purtroppo però, al di là delle parole, nei fatti la situazione resta bloccata. Nel momento in cui si doveva concretizzare la ripresa dei lavori parlamentari, infatti, al Senato i gruppi non sono stati capaci di mettersi d’accordo: il Pdl ha chiesto che prima di affrontare la legge elettorale si dia corso ad alcune modifiche costituzionali; il Pd però non si è detto d’accordo perché ritiene già sufficientemente gravoso il lavoro di stesura e approvazione della legge elettorale. E così rimangono ferme sia le une che l’altra.
Certo, sarebbe ottimo se la legge elettorale fosse pensata per due Camere già riformate (Città Nuova lo ha già detto); ma per cambiare la Costituzione è necessaria una maggioranza qualificata; se questa non c’è, i tempi stretti della legislatura impongono di andare oltre. Il Pdl quindi può additare all’opinione pubblica la scarsa buona volontà delle altre forze politiche, ma se vuole davvero raggiungere qualche risultato, è bene che prenda sul serio la richiesta di avviare i lavori sulla legge elettorale.
E noi cittadini dobbiamo restare vigili. Questa brutta legge, si sa, è dura a morire. In più, nuove elezioni sono alle porte, le amministrative di primavera, e sono in ballo le alleanze, tanto per il Pd quanto per il Pdl, che si trova a gestire una insolita situazione con la Lega. Il rischio da scongiurare è che prevalga la logica dell’urna prossima anziché il bene duraturo del Paese.