Guidare l’evoluzione?
Da migliaia di anni i contadini sperimentano in agricoltura innesti di piante e frutti. Alcuni attecchiscono, altri no, alcuni hanno fortuna presso il largo pubblico, altri sono conosciuti solo agli specialisti. Anche gli animali sono stati presi di mira: c’è una lunga lista di ibridi, dal pumapardo (incrocio tra puma maschio e leopardo femmina) allo zebrallo (zebra e cavallo), fino al più noto mulo (incrocio tra asino e cavalla). Quest’ultimo è sterile perché, nell’incrocio, i cromosomi dei due animali non riescono ad accoppiarsi e quindi non formano gameti normali. Questi incroci sono finora sempre avvenuti per tentativi ed errori, sulla scia di quello che fa e insegna l’evoluzione naturale, che seleziona gli organismi più adatti alla sopravvivenza nei vari ambienti.
Oggi però qualcosa è cambiato: gli scienziati hanno deciso che sono ormai in grado di guidare l’evoluzione verso le direzioni volute. Da quando nel secolo scorso si è scoperta la doppia elica del Dna, cioè il codice che all’interno delle cellule dirige la formazione di ogni essere vivente, la scienza ha infatti indagato sempre più in profondità questo “meccanismo”, fino a poterlo manipolare, con l’obiettivo di far meglio della natura.
La quale natura, dopo millenni di evoluzione, aveva trovato il modo di far tutto con poco, nel senso che tutta la vita intorno a noi è basata su un semplice alfabeto: 5 basi azotate (A, G, C, T, U) che guidano la combinazione di 20 amminoacidi per formare le proteine e i composti che servono alla cellula.
Ora la prestigiosa rivista Nature ci informa che nel Dna di un batterio che vive normalmente nel nostro intestino, l’Escherichia Coli, sono state inserite due basi nuove di zecca, artificiali, chiamate con le sigle d5SICS e dNaM (o più brevemente X e Y). Con ingegnosi stratagemmi, i bioingegneri hanno ingannato la cellula che non ha riconosciuto X e Y come corpi estranei ed ha quindi continuato a riprodursi senza problemi, forse perché le nuove basi sono state inserite in un segmento di Dna poco utilizzato.
Il prossimo passo, invece, sarà quello di inserire X e Y proprio nel tratto di Dna attivo, cosiddetto “codificante”, che produce sostanze utili alla cellula. Sarà interessante osservare se la cellula esegue o no le istruzioni di X e Y, sintetizzando proteine diverse da quelle che normalmente produce. In caso affermativo, il batterio sarà stato trasformato in una piccola fabbrica delle sostanze che vogliamo, ad esempio molecole terapeutiche di cui l’organismo ha bisogno, o sostanze contro l’inquinamento, o addirittura biocombustibili. Futuro per ora non vicinissimo, ma teoricamente possibile dopo questi esperimenti straordinari dal punto di vista tecno-scientifico.
Un limite sembra non esserci perché, a questo punto, come in un gioco Lego per adulti, i mattoncini, cioè le nuove basi, potrebbero essere non 5 ma 10 o 20 o 30, per legare gli amminoacidi voluti e costruire un numero potenzialmente infinito di sostanze e proteine.
Cosa rimane da dire? Forse un commento alla solita oziosa disputa, che si scatena ogni volta su giornali e tv, se cioè l’uomo è realmente in grado di “creare” la vita, e quali sono i pericoli potenziali. Gli scienziati che scrivono sui giornali ci tengono molto a dire che sì, stanno creando la vita. Forse, più semplicemente, stanno continuando una lunga tradizione che parte dagli innesti dei contadini, fino ad arrivare alle coltivazioni ogm (organismi geneticamente modificati) ormai diffuse in molti Paesi del mondo.
L’uomo ha sempre cercato di manipolare la realtà che lo circonda, per migliorare la sua condizione. Certo, questa volta la sfida è particolarmente delicata, perché il Dna artificiale potrebbe portare, in futuro, a costruire veri e propri organismi artificiali, magari ibridi con i robot. È una vera e propria ingegneria genetica, con i suoi standard e i suoi pezzi di ricambio.
Qualcuno la chiama l’era digitale della biologia, perché è al computer che viene modellata la vita artificiale, poi costruita in laboratorio. Dovremo discutere prima o poi di quale pensiamo che potrebbe o dovrebbe essere l’evoluzione futura dello stesso uomo. Accanto ai tecno-entusiasti, serviranno, come sempre, persone con molto buon senso, una politica capace di tener conto del “principio di precauzione” e il contributo attivo (e informato) di tutti coloro che hanno realmente a cuore il bene della famiglia umana.