Guerre e risorse energetiche
Il consumo di queste risorse energetiche è fortemente differenziato nel mondo, come anche la sua produzione. […]
Venti tra pochi Paesi di antica industrializzazione e altri di più recente sviluppo consumano il triplo di quanto ne consumano gli altri 170: i primi dieci ne consumano più del doppio degli altri 170, mentre il primo arriva a poco meno del totale degli altri 170. Paesi voraci di energia che tendono ad accrescere il proprio bisogno di petrolio e per cui il mercato mondiale diviene un terreno di accordi e di concorrenza commerciali, ma anche di scontri e di guerre vere e proprie.
I Paesi produttori sono corteggiati, adulati, pressati nelle vendite: il prezzo delle merci energetiche (siano esse petrolio o carbone o altro) può essere fondamentale per lo sviluppo e la sicurezza di un altro, può cementare i rapporti di collaborazione reciproca o causare tensioni internazionali. L’attuale modello di sviluppo economico mondiale soffre di una fame crescente di energia e per essa si è pronti a tutto.
Basti pensare all’area mediorientale, produttrice di quasi un terzo del petrolio mondiale e pertanto regione estremamente importante per l’economia globalizzata del nostro pianeta. Non è un caso che tale area sia divenuta così rilevante in seguito alla Seconda rivoluzione industriale e all’avvento del motore a scoppio tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento: l’Impero ottomano che allora governava quei territori divenne pertanto la preda ambita dei protagonisti della Prima guerra mondiale e fu smembrato con rapacità dai vincitori al termine della stessa. […]
L’importanza del controllo delle fonti energetiche rimane tutt’oggi comunque al centro dell’attenzione dei governi, anche alla luce del fatto che tutte le proiezioni future indicano un incremento significativo di questi consumi, dato che solo il 17,5% dell’energia prodotta viene da fonti rinnovabili. Il resto proviene dal petrolio, dal gas, dal carbone, dal nucleare. L’Asia, continente in crescita, consuma oggi la metà del petrolio e del gas disponibile estraendolo dal Medio Oriente, dalla Russia, dagli Stati Uniti, dal Canada e dal Brasile, ma nel 2040 ne consumerà i due terzi. Le proiezioni disponibili ci indicano comunque una crescita continua del fabbisogno energetico.
Va tenuto presente che nel mondo il consumo medio di energia per abitante è di circa 2,5 kW annui, ma in alcuni Paesi più ricchi è dieci volte superiore (come nel caso della Norvegia): se tutti gli abitanti del nostro pianeta consumassero al massimo si andrebbe al collasso. L’equilibro si mantiene perché i poveri consumano al di sotto del fabbisogno. Fino a quando questo potrà continuare? Fino a quando queste disuguaglianze potranno resistere nelle forme attuali?
Le previsioni per i prossimi decenni indicano le energie non rinnovabili ancora al centro dello sviluppo e pertanto ci si deve attendere ancora un duro confronto sull’accaparramento di tali risorse. L’insuccesso della conferenza COP 25 di Madrid del dicembre 2019 sul clima ne è una conferma.
Le aree ricche di petrolio, di gas, di carbone, di uranio e altro saranno sempre oggetto d’interesse internazionale ed è utile ricordare i paesi che dispongono delle più importanti riserve mondiali di petrolio e di gas.
Il Medio Oriente si presenta costantemente come l’area principale sia delle esportazioni di petrolio e di gas sia delle riserve accertate di queste due preziose materie prime. Ciò significa che su questo scacchiere la complessa partita continuerà ancora per lunghi anni e l’instabilità che lo caratterizza non è destinata nel breve tempo a diminuire, anche alla luce delle importanti riserve detenute dall’Iran, il cui governo non appare inserito nel quadro delle alleanze statunitensi come invece la maggior parte degli altri Paesi dell’area.
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Dal punto globale l’autosufficienza energetica statunitense potrebbe influenzare molto i rapporti internazionali, eventualmente consentendo a Washington una diversa politica in Medio Oriente e all’Europa occidentale di rifornirsi altrove rispetto sia ai Paesi arabi e africani, sia alla Russia (aumentando però ancor più la dipendenza da oltreoceano).
Altra area importante per la disponibilità di petrolio, seppur meno nota al grande pubblico, è quella del mar Caspio tra gli Stati rivieraschi della Federazione Russa, l’Azerbaigian, l’Iran, il Turkmenistan e il Kazakistan. Alcune stime parlano di una presenza di idrocarburi addirittura superiore a quella del golfo Arabico/Persico. In questo caso, però, essi non possono essere trasportati via mare con le petroliere, ma necessariamente attraverso oleodotti e gasdotti posti sul suolo. La decisione di posizionare un oleodotto su un preciso percorso che può attraversare uno o più Stati ha un’enorme rilevanza perché consente ai Paesi coinvolti, dal produttore a quelli intermedi, di poter condizionare i rapporti internazionali. La rete terrestre e sottomarina degli oleodotti e dei gasdotti rappresenta molto bene l’intreccio dei vari interessi che uniscono o dividono i governi. In caso di crisi internazionale, il flusso energetico può essere interrotto non solo dal produttore, ma anche da quello sul cui territorio passa l’infrastruttura: la chiusura dei “rubinetti” può danneggiare diversi attori e la partita si complicherebbe ancora di più. Investire miliardi per realizzare una pipeline sul territorio di un Paese non completamente affidabile è un grosso rischio per il Paese esportatore e potrebbe creare notevoli problemi. L’Ucraina è un palese esempio in tal senso, in quanto posta a metà strada tra il fornitore russo e gli acquirenti europei.
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Senza voler descrivere dettagliatamente il reticolo mondiale delle pipeline che trasportano o dovrebbero trasportare petrolio e gas attraverso i diversi progetti in corso, è possibile comprendere come questo sistema interconnesso di fatto condizioni i rapporti internazionali sia nei collegamenti in atto sia in quelli irrealizzati. Questo reticolo può spiegare i tentativi dei vari attori di attivare o di bloccare rapporti economici e politici in grado di influire sugli equilibri instabili del nostro pianeta: anche questa è guerra economica. Insomma, una dura partita con sgambetti e contromosse continue e, a complicar le cose, senza arbitro.
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