Guerre: il punto di non ritorno
Stiamo giocando col fuoco e non ce ne accorgiamo quasi. Continuiamo la nostra vita nell’illusione consumista – il divertissement, diceva Pascal –, cioè in quelle attività ludiche che ci impediscono di guardare all’essenziale, cioè al ciclo della vita e della morte, perché anestetizziamo l’inevitabile fine terrena di ogni esistenza. Il simbolo filmico più adeguato per descrivere questo momento è l’affondamento del Titanic: tutti a far baldoria senza accorgersi che la tragedia era imminente.
Prendiamo la situazione in Ucraina, che sul campo sta vedendo una certa superiorità russa, se non altro per la disparità delle forze umane in campo, superiorità prevedibile, perché il bacino dei potenziali coscritti è in Russia quattro volte superiore a quello dell’Ucraina. Non essendoci state spallate decisive, vince chi ha più pioni, o carne da macello. Ma la Nato non ci sta, e con alcuni suoi membri – Macron in testa, assieme agli alleati rivieraschi del Mar Baltico –, mentre è stata avviata una potente campagna mediatica sulle intenzioni putiniane di conquista dell’Europa, ipotizza un intervento diretto delle truppe. Conclusione: bisogna armarsi, bisogna accrescere la difesa del Vecchio continente, ma pure investire in armi offensive, e non più solamente difensive. Motivazione: come «risposta aggressiva alle minacce di Mosca», si tuona nei palazzi dell’Alleanza Atlantica, introducendo così l’idea della liceità di una guerra europea per la difesa dei valori di democrazia e libertà.
Così facendo, si dimenticano le prudenze che sono finora state usate nell’intervento Nato a sostegno di Kyiv: dapprima il supporto dell’intelligence; poi l’invio dei carri armati ritenuti risolutivi (ma non è stato così); poi i sistemi antiaerei, ormai in parte da rottamare perché i missili ipersonici russi si fanno beffe delle cortine di difesa radar che mette in moto la contraerea; poi gli F16, con l’istruzione all’estero dei piloti ucraini; quindi, ancora, l’invio di missili a media gittata, capaci di incidere profondamente nel territorio russo; e ora le minacce di Macron per un intervento diretto delle truppe francesi nel conflitto (ricordate le lunghe trattative del presidente francese con quello russo all’inizio della guerra, allorché Macron si atteggiava a solipsista eroe della pace?).
Siamo così giunti, gradino dopo gradino, alla prospettiva di una guerra diretta della Nato contro la Russia, ipotesi avvalorata dalle indiscrezioni provenienti da non meglio precisate “fonti di intelligence” di vari Paesi europei che prevedono non meglio identificati «atti di sabotaggio senza tener conto di eventuali vittime civili», come recitano i telegiornali. Quindi l’equazione, quasi un ricatto per le popolazioni occidentali, non è più: se Putin attacca, noi risponderemo; ma: dobbiamo mettere Putin nelle condizioni di non poter attaccare. Il prossimo passo è facilmente prevedibile: dobbiamo attaccare per primi per poter vincere la guerra.
Nel frattempo, le economie occidentali si stanno progressivamente riposizionando sul militare, cioè sulla produzione di armi (non solo convenzionali) e di logistica, con tassi di crescita a due cifre della produzione e dell’occupazione: ecco che la guerra possibile diventa un’opportunità per le economie occidentali. Come rinunciare a tanti posti di lavoro? Il circolo vizioso sta per giungere a compimento: se le armi ci sono, bisogna impegnarle sul campo. La guerra, il suo vocabolario, le sue logiche, sono ormai entrati nella nostra quotidianità, mentre continuiamo a riempire gli stadi per il calcio e per la musica, mentre il turismo di massa viene rallentato solo dalle difficoltà produttive della Boeing… Balliamo spensierati come al tempo del Titanic.
p.s. Intendiamoci bene, da parte dei russi e dei cinesi le logiche sono le stesse, pur con qualche distinguo e con premesse illiberali. Ma ciò non fa che accentuare la stupidità della guerra prossima ventura.
p.p.s. Appare innegabile la crescita di chi non vuole soggiacere alla logica della guerra. È su questa gente che si basano le speranze residue di pace.
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