Guerra in Yemen, sfida per l’Europa
Poco dopo Natale 2018 è arrivata una chiara e articolata presa di posizione dei vescovi sardi che, con riferimento alla produzione di bombe nel Sulcis Iglesiente, invitano l’Italia a compiere «un serio sforzo per la riconversione di quelle realtà economiche che non rispettano lo spirito della nostra Costituzione».
In una nota congiunta Rete Disarmo, Amnesty International Italia e Movimento dei Focolari Italia sollecitano «il governo Conte a sostenere con decisione le iniziative di altri Paesi europei per pervenire ad un embargo di armi verso tutte le forze militari in conflitto in Yemen», come richiesto da numerose risoluzioni del Parlamento europeo. Sulla contraddizione tra atti votati in Europa e scelte politiche dei nostri governi di diverso colore, abbiamo parlato con Silvia Costa, parlamentare europea eletta nelle liste del Partito democratico, che è intervenuta di recente all’incontro Non c’è Europa senza ricerca della pace, promosso dal Movimento dei Focolari nella sede italiana del Parlamento europeo.
Sul tema della vendita delle armi all’Arabia Saudita è emersa l’assenza di una politica estera comune a livello europeo e una responsabilità degli Stati membri per l’export indiscriminato di armamenti verso Paesi in guerra. Quali prospettive politiche intravede per ridare speranza alla popolazione civile dello Yemen?
Durante il mese di ottobre e novembre abbiamo affrontato questo tema nel Parlamento europeo, l’unica istituzione elettiva che rappresenta 500 milioni di europei. Forse anche per questo il Parlamento ha posizioni molto più avanzate del Consiglio europeo, che rappresenta le maggioranze dei governi. A partire dal 2016 abbiamo approvato varie risoluzioni in cui si chiede l’embargo militare verso l’Arabia Saudita. Al tempo stesso abbiamo riscontrato una grave distrazione da parte dei media e dunque una certa indifferenza dell’opinione pubblica. In primis occorre contrastare un certo provincialismo dell’informazione. In parallelo il Parlamento europeo ha chiesto di istituire un’autorità indipendente che possa redigere una relazione sul rispetto della posizione comune dell’Unione europea che impone l’embargo verso Paesi coinvolti in conflitti armati. Su quest’ultimo aspetto, però, non abbiamo avuto la maggioranza. Nello Yemen è in atto la più grande tragedia umanitaria (che si sta consumando con la complicità dell’Europa), in relazione alla vendita di armamenti ad una delle parti nel conflitto. È una contraddizione tremenda se pensiamo che l’Unione europea è il primo donatore, in termini di aiuti umanitari, verso lo Yemen.
Quindi, quali sono le scelte da compiere?
La politica ha di fronte a sé tre sfide: prendere sul serio tali risoluzioni, agire maggiormente a livello comunitario ad esempio attraverso l’istituzione di un’autority europea, e, in terzo luogo, dato che oggi parliamo di Agenda 2030, della Laudato sì, di sviluppo sostenibile e inclusivo, occorre ripensare una politica economica e industriale. Va poi considerato che dall’altro lato ci sono i ribelli sostenuti dall’Iran. Lo scacchiere, dunque, è complesso: è in atto uno scontro tra sunniti e sciiti in una regione considerata strategica dal punto di vista geopolitico.
«Al negoziato globale non c’è alternativa. La polemologia di Clausewitz è finita». Tale auspicio di Giorgio La Pira sembra sia rimasto inascoltato, tanto da spingere papa Francesco a parlare di “guerra mondiale a pezzi”. Che fare?
È necessario interrogarsi nuovamente su alcuni grandi dilemmi: qual è la teleologia della Storia, ovvero il fine stesso dell’agire umano? Qual è la condizione per costruire la pace e l’unità? In una fase in cui la politica sta vivendo un eterno presente e sta immiserendo la profondità dello sguardo e della visione, porre questi interrogativi è fondamentale. In un mondo globalizzato ed interconnesso occorre avere una maggiore capacità di lettura di questi processi geopolitici e ricondurli non a una banalizzazione ma a una complessità.
Infatti è sempre papa Francesco a ricordare che «oggi i diritti umani sono in crisi, la mediazione è in crisi. Anche il diritto alla pace è relativo». Può esistere una reale volontà politica di risolvere i conflitti in corso?
Nel contesto che stiamo vivendo servono anche gesti radicali. Ho accennato a una questione economico industriale da affrontare. In seguito all’interrogazione posta dalla deputata Quartapelle sull’export di armi all’Arabia Saudita, il governo ha assicurato che avrebbe chiamato in causa il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) per ridefinire un diverso indirizzo di politica industriale nel settore in esame. Prendiamo sul serio questi spunti. Cosa il CIPE poteva fare e non ha fatto finora? Le risoluzioni del Parlamento europeo stanno in qualche modo condizionando la riduzione dell’export di armi verso questi paesi in guerra? Penso che se non c’è il pungolo delle istituzioni democratiche, sarà difficile affidare la risoluzione del conflitto ad accordi che già stanno mostrando tutta la loro fragilità.
Lei è nata a Firenze, città che ha avuto come sindaco Giorgio La Pira. C’è un aspetto particolare che la lega al pensiero del politico fiorentino?
Ho un ricordo personale di La Pira. Quando ho iniziato a far politica nel ‘75 lui faceva un corso di formazione politica e ci mandò un messaggio in cui disse: «I giovani annunciano un futuro diverso, sono come le rondini a primavera. Ricordate: non c’è alternativa alla pace». Mi ha sempre colpito la sua disarmante serenità ed ineluttabilità, la convinzione che non esiste un primo, un secondo o un terzo mondo, ma uno soltanto. La Pira era già consapevole dell’interconnessione fra tutti noi, aveva coscienza della responsabilità dell’Italia nel Mediterraneo e in Europa nel favorire i processi di pace, basti pensare all’iniziativa dei dialoghi del Mediterraneo che avviò a Firenze.
Quale contributo può offrire oggi la visione di La Pira all’Italia e all’Europa?
Oggi è essenziale il ruolo delle città come soggetti proattivi. In tale prospettiva è interessante l’appello al dialogo fra i comuni italiani a partire da Assisi. La proposta, rivolta alle città italiane ed europee, di approvare una mozione per fermare la vendita di armi verso Paesi in conflitto, fa crescere la consapevolezza che l’Italia ripudia la guerra e dunque non può neppure alimentarla altrove. Sullo Yemen in particolare, penso che soltanto poche associazioni, che sono un po’ come le sentinelle del mattino, hanno compreso che è in atto la più grande tragedia umanitaria della contemporaneità.