Guerra in Ucraina, vere trattative di pace per scongiurare scenari infernali

Intervista al filosofo Massimo Borghesi intorno all’invito rivolto da papa Francesco alle riviste dei gesuiti di non perdere la dimensione della complessità del conflitto Ucraina dove non si può cedere alla semplificazione tra buoni e cattivi. Intanto a Madrid comincia il vertice Nato decisivo per la strategia militare occidentale
Guerra Ucraina . manifesti in Polonia (AP Photo/Petr David Josek, File)

Una guerra senza fine in Ucraina. Ad oggi, secondo stime Onu, siamo vicini al numero di 10 mila vittime civili nel conflitto iniziato con l’invasione russa del 24 febbraio. Il 27 giugno alcuni missili russi hanno colpito un centro commerciale a Kremenchuk, a 300 chilometri da Kiev provocando almeno 18 vittime.

Francesco parlando alle redazioni dei periodici dei gesuiti ha detto «Vorrei che le vostre riviste facessero capire il dramma umano della guerra», senza dimenticare cioè la tragedia reale delle vittime di cui nessuno conosce il nome. Ha ricordato le celebrazioni della dello sbarco in Normandia da parte dei capi dei governi alleati tutti incentrati sulla vittoria militare senza un cenno alla tragedia di quei ragazzi mandati al macello.

Ciò non toglie, come fanno notare in molti, che quei soldati dovevano intervenire per fermare la follia di Hitler. Un sacrificio terribile ma inevitabile.

Parlando a braccio, il papa ha detto di non perdere la dimensione della complessità del conflitto attuale in Ucraina dove non si può cedere alla semplificazione tra buoni e cattivi. Con responsabilità che risalgono non solo a Putin ma anche alle mosse della Nato.

Ne abbiamo parlato con il filosofo Massimo Borghesi, che ha pubblicato recentemente con Jaca Book il testo “Il dissidio cattolico che raccoglie una serie ragionata di interventi sulle reazioni contrarie a papa Francesco che sono ora particolarmente accese davanti all’insegnamento controcorrente del papa davanti alla guerra in Ucraina.

Nel colloquio con le redazioni delle riviste dei gesuiti, Francesco parla di «un discernimento che deve portare all’azione». Cosa vuol dire concretamente (quale azione?) davanti a tale complessità che non può ridurre la realtà all’equiparazione Hitler – Putin?
In questi mesi il Papa ha gridato il suo no alla guerra non per un mero pacifismo di principio ma, innanzitutto, perché avverte ciò che molti in Europa sembrano non avvertire: la grande pericolosità di questa guerra.

Una guerra che rischia di coinvolgere, ad ogni recrudescenza del conflitto, la Nato e quindi l’Europa con gli Stati Uniti. Il che significa terza guerra mondiale. Come siamo arrivati a questa follia? Attraverso un quadro manicheo per il quale ogni via verso il negoziato diviene, in linea di principio, preclusa. La semplificazione per cui l’autocrate Putin sarebbe il novello Hitler obbedisce a questa vulgata.

Maestro di questa narrazione, che immobilizza l’Europa nel ruolo di semplice fornitrice di armi, è il presidente ucraino Zelensky, colui che viene dipinto come l’eroe dell’anno, il destinatario degli omaggi di tutti i leaders occidentali.

Da parte sua lo spiega molto bene Domenico Quirico su «La Stampa» di sabato 25 giugno (Zelensky vince la guerra delle emozioni ma per l’Occidente è un boomerang): «Come è successo? Si badi contro la volontà stessa di molti di coloro, come gli europei, che non avrebbero mai accettato alcuni mesi fa di compiere un percorso così duro e pericoloso se avessero seguito le orme della prudenza e dell’interesse. Che spingevano semmai sulla via del ridurre lo scontro alla dimensione locale, gettando acqua sulla sanguinaria provocazione putiniana. La colpa, o il merito, è di Zelensky che imponendo la sua immagine e il suo talento di comunicatore ossessivo, martellante, onnipresente ha creato una guerra, non soltanto di cannoni e mosse diplomatiche, ma di emozioni. Il suo grimaldello è stata la colpevolizzazione sistematica e seduttiva dell’Occidente»

Cosa altro dice Quirico che ritiene di dover condividere?
È un testo che merita di essere letto nella sua integralità: Secondo l’inviato de La Stampa «Zelensky ha distribuito le parti di un remake. Scegliendo di riproporre un copione che l’Europa purtroppo conosce bene e di cui ha un ricordo orribile, la Seconda guerra mondiale.

L’Ucraina aggredita, martoriata, sbriciolata è dunque Londra indomita sotto le bombe tedesche nel 1940. Zelensky ostinato, deciso a non arrendersi mai alla brutalità totalitaria, si è preso la parte di Churchill. A Putin naturalmente tocca la maschera del nuovo Hitler.

A Biden ha riservato il costume di Roosevelt che pazientemente, giorno dopo giorno, convince i distratti americani che per loro è vitale distruggere il tiranno. E intanto arma gli ucraini con una replica della celebre legge affitti e prestiti con cui venne tenuta in piedi la Gran Bretagna.

E dal 1941 l’Unione sovietica di Stalin. Operazione perfetta. La volontà di evitare l’ennesima infamia dell’Occidente capitolardo è diventata una verità unica e giusta, immutabile nel divenire della crisi e della guerra quanto la legge della caduta dei gravi. Intellettuali e politici, militanti della guerra giusta ed economisti dalla sanzione facile e indolore, si sono messi al servizio di Zelensky. Il meccanismo delle passioni innescato dall’attore-presidente è in se stesso infernale. Più aumenta il livello del nostro aiuto più crescono le sue ambizioni, più la guerra si prolunga più si allargano i contorni di una vittoria per lui accettabile».

Se ad ogni modo, come riconosce il papa, la resistenza armata degli ucraini è eroica, fine a che punto ci si può limitare a fornire armi pesanti senza intervenire direttamente?
Ciò che è in questione non è l’invio di armi all’Ucraina invasa ma il fatto che questo non risulti poi funzionale ad aprire un tavolo negoziale tra Russia e Ucraina. Armare l’Ucraina ha senso solo in funzione della limitazione dei danni provocati dal conflitto. Oltre un certo limite il vantaggio si traduce in perdita, nella distruzione sistematica della povera Ucraina.

Per questo l’Occidente non può limitarsi ad inviare armi, deve sviluppare un parallelo processo diplomatico il quale richiede che l’avversario per quanto criticato non sia però demonizzato. Ne ha parlato ultimamente Charles A. Kupchan, già consigliere di Clinton, in un articolo riportato da La Repubblica (Il negoziato come soluzione) del 20 giugno . Per lo storico americano «Washington non ha solo il diritto di discutere con Kiev degli obbiettivi della guerra, ma anche il dovere. Non è esagerato affermare che questo conflitto rappresenta il momento geopolitico più pericoloso dai tempi della crisi dei missili a Cuba.

È in corso una guerra sanguinosa fra una Russia dotata di armi nucleari e un’Ucraina armata dalla Nato, con i territori Nato a ridosso della zona di conflitto. È una guerra che potrebbe definire i contorni strategici ed economici del XXI secolo, con la possibilità che si apra un’epoca di rivalità militarizzata fra le democrazie liberali del pianeta e un blocco autocratico che ruota intorno a Russia e Cina.

Con una simile posta in gioco, è indispensabile che gli Stati Uniti siano coinvolti direttamente nelle decisioni su come e quando questa guerra dovrà finire. Invece di fornire armi senza condizioni (lasciando di fatto che siano gli ucraini a decidere la strategia), Washington deve avviare una discussione esplicita su come mettere fine alla guerra, insieme agli alleati, insieme a Kiev e in prospettiva anche insieme a Mosca».

La decisione di Finlandia e Svezia di entrare nella Nato non è il segnale più eloquente di un pericolo di guerra imminente? E al contempo non è anche espressione di fiducia nella forza deterrente dell’arma nucleare che invece il papa chiede di mettere al bando come stabilisce il trattato Onu del 2017 che l’Italia continua a rifiutare in linea con gli altri Paesi Nato?
La decisione della Finlandia e della Svezia è una conseguenza della scellerata decisione di Putin di invadere l’Ucraina. È chiaro che i Paesi limitrofi alla Russia si sentono in pericolo. D’altra parte la loro decisione aumenta il livello della tensione tra Est ed Ovest.

Come reagirà la Russia di fronte ai missili Nato ai suoi confini? Così come aumenta la tensione la decisione della Lituania di bloccare gli scambi commerciali tra la Russia e l’enclave di Kaliningrad. Una provocazione inutile e pericolosa che documenta il clima di tensione a cui siamo arrivati. Spero che in Europa ci sia qualcuno in grado di raffreddare i bollori di Helsinki.

A prescindere dal papa, come si spiega il fatto che l’Italia andrà ad approvare il nuovo concetto strategico di difesa della Nato nell’incontro dei Paesi dell’Alleanza Atlantica di fine a giugno a Madrid senza un dibattito aperto nella società italiana oltre che in Parlamento?
Me lo spiego male. Sull’invio delle armi il Parlamento e l’opinione pubblica sembrano esautorati. Credo che anche alcuni membri del governo non siano a conoscenza della quantità e della qualità delle armi che inviamo in Ucraina. Né la stampa e i media si preoccupano di fornire informazioni adeguate. Questo è inaccettabile. Anche l’Italia deve e può motivare l’invio di armi solo con un parallelo sforzo per arrivare ad un tavolo negoziale. Diversamente contribuiamo solo a prolungare un conflitto che sta riducendo l’Ucraina ad un cumulo di macerie.

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