Guerra in Ucraina, scontro tra drone Usa e caccia russi sul Mar Nero

L’abbattimento nel cieli vicino la Crimea di un drone statunitense, da parte dell’aviazione russa, ricorda scenari da guerra fredda come il caso dell’aereo-spia U2 della CIA colpito dai caccia sovietici nel 1960. Ma il quadro attuale è molto più grave, con la guerra in Ucraina che miete centinaia di vittime al giorno in uno stato di tensione che può peggiorare in maniera incontrollabile. Urge una via di uscita.  
Drone Usa abbattuto dai russi sul Mar Nero (US Department of Defense via AP)

Un drone statunitense MQ-9 Reaper della General Atomics, velivolo pilotato a distanza, con un raggio d’azione di 1.800 chilometri e dal costo di 56 milioni di dollari, è stato abbattuto da un aereo russo nel Mar Nero mentre si trovava in uno spazio aereo internazionale vicino alla Crimea.

Mentre partono le accuse reciproche e le recriminazioni, ora intanto scatta velocemente la caccia per recuperare o impadronirsi dei resti del drone e dei suoi segreti tecnologici.

Questo, come tanti altri episodi che stanno succedendo in questi mesi, sono il segnale di una crescente tensione tra Mosca e Washington che sembra “rinverdire” vicende tipiche della Guerra Fredda del secolo scorso, periodo in cui le due superpotenze e i loro alleati si fronteggiavano minacciosamente.

Uno di questi episodi del passato, che merita di essere ricordato, risale al 1960 ed è relativo all’abbattimento dell’aereo-spia U2 della CIA prodotto dalla Lockheed, che, grazie alla sua capacità di volare ad alta quota (20.000 m.), non era raggiungibile dagli aerei e dai missili sovietici di allora.

Decollato dal Pakistan, sarebbe dovuto arrivare in Norvegia sorvolando l’Unione Sovietica e raccogliendo importanti informazioni. Una batteria missilistica SAM, contrariamente alle missioni precedentemente effettuate, riuscì a colpirlo e il suo pilota Powers, seppur salvatosi, fu catturato, processato per spionaggio e, due anni dopo, scambiato con un’altra spia.

I mass media ci informano quotidianamente sugli sconfinamenti aerei o sulla presenza minacciosa della flotta russa, insomma di tutta una serie di eventi che ci stanno a ricordare che ci troviamo in una situazione di tensione crescente che va al di là dello scontro diretto tra Russia e Ucraina, ma che tutta l’Europa (NATO e non NATO) vi è coinvolta.

Preoccupa l’escalation di queste “punture di spillo” tra Mosca e Washington, che appaiono sempre più i due protagonisti della sfida in corso.

I governi non sembrano avere altri piani se non l’invio di armi e munizioni, invio che peraltro sta depauperando gli arsenali dei Paesi occidentali al punto che il commissario europeo per l’industria, Thierry Breton, ha sollecitato l’Ue addirittura ad adottare un’economia di guerra.

La decisione NATO del 2022 di portare i bilanci della difesa a 2% del PIL evidentemente non basta più e la scelta di un’economia di guerra comporterebbe ulteriori tagli allo stato sociale (sanità, ambiente, istruzione ecc.), che già è stato duramente colpito dalla pandemia da Covid 19.

Secondo il Washington Post, inoltre, l’Ucraina sarebbe a corto di uomini e armi, dato che questa guerra di logoramento sta sì falciando tantissime vite di soldati russi, ma anche quelle degli ucraini. Sono circolate diverse stime, anche di fonte statunitense (del generale Milley, capo di Stato maggiore Usa), che valutavano intorno almeno alle 100 mila vittime per parte, anche se non si può aver certezza delle cifre, dato che ognuna delle parti fornisce notizie “taroccate”.

Infatti si è parlato di caduti russi tra i 300 e gli 800 al giorno, per cui è presumibile una cifra analoga per le truppe ucraine. Questa macabra contabilità, peraltro, gioca a favore della Russia, che ha un contingente militare di 1.300.000 uomini, a cui si aggiungono altri 250.000 nelle riserve e 250.000 paramilitari, mentre complessivamente sono oltre 46 milioni quelli idonei al servizio.

Per l’Ucraina, che ha chiamato alle armi tutta la popolazione maschile dai 18 ai 60 anni, risulta che quelli idonei sono circa 7 milioni. La disparità numerica è evidente e il tributo di vite umane pagato quotidianamente è comunque immane.

Appare strano che i vari piani per giungere ad una trattativa e ad una cessazione delle ostilità, avanzati dalla Turchia, poi dall’appello di diversi ex-diplomatici italiani nell’ottobre scorso, e infine recentemente da Pechino, siano stati ignorati o sbrigativamente liquidati da parte occidentale.

Tra l’altro, il documento cinese parla chiaramente di integrità territoriale e del non uso della minaccia nucleare, del rispetto del diritto internazionale umanitario e di tanti altri aspetti che potrebbero essere comunque una base interessante per poter avviare un dialogo, una trattativa tra le due parti.

Peraltro, dato il forte coinvolgimento occidentale – seppur indiretto – nel conflitto, non sarebbe fuori luogo che anche da parte della NATO (leggi Stati Uniti) si potesse entrare nella trattativa, non come mediatore ma almeno come partner che spinge verso un accordo.

Mediatore potrebbe esserlo un Paese non schierato palesemente a favore di uno dei due contendenti, proprio per essere esterno alla contesa. Ma se i due contendenti e relativi alleati intendono continuare la guerra all’infinito, con tutte le possibili conseguenze ed evoluzioni, si rischia da un lato di avvitarsi in una crisi peggiore di quella attuale e dall’altro d’ignorare la minaccia esistenziale per tutto il pianeta che ci proviene dai cambiamenti climatici.

Già oggi, qui in Italia, stiamo vedendo le prime pericolose avvisaglie di questa con la siccità che in pieno inverno sta colpendo il nostro Paese e che lascia prevedere un’estate drammatica.

A fronte di tutto ciò, si assiste ad una guerra divenuta quasi di routine, a minacce reciproche, a situazioni di tensione, che possono comunque sfuggire di mano e provocare escalation incontrollabili.

Basta pensare al missile ucraino lanciato contro quelli russi e caduto erroneamente in Polonia nel novembre scorso, uccidendo due civili, ma attribuito da Kiev immediatamente ai russi e poi invece da Washington all’Ucraina.

Un incidente che sarebbe potuto essere qualcosa di peggiore, oltre al danno collaterale della morte di due polacchi.

Ci si trova sul filo del rasoio e sembra che i governi non sappiano ipotizzare altre soluzioni se non la prosecuzione della guerra “sino alla vittoria”. Di chi, come, quando e perché non è dato sapere. Gli slogan in questa situazione complessa sono fuori posto e soprattutto pericolosi.

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