Guerra in Ucraina, il lacerante conflitto sulla fornitura di armi
Siamo in guerra. L’Italia e l’Unione Europea sono passati in pochi giorni dall’adozione delle pesanti sanzioni economiche e finanziarie contro la Federazione russa alla decisione di inviare sistemi d’arma (missili, mortai, bombe, mitragliatrici, mortai, lanciatori Stinger, mitragliatrici pesanti Browning e altro) a sostegno del governo ucraino di Volodymyr Zelens’kyj che le ha esplicitamente richieste per potersi difendere dall’aggressione militare di Putin scatenata la notte del 24 febbraio scorso.
La mossa di un attacco su larga scala su Kiev e altre centri strategici del Paese da parte del capo del Cremlino ha spiazzato chi immaginava, al massimo, una rapida azione bellica per prendere il controllo dei territori contesi, prevalentemente russofoni nella regione del Donbass afflitta da un conflitto di cosiddetta bassa intensità che dura dal 2014, per il mancato rispetto, da entrambe le parti, degli accordi siglati a Minsk, in Bielorussia, sotto l’egida internazionale dell’Ocse.
L’Ucraina è il terreno sacrificale di uno scontro tra la Federazione russa e l’Alleanza atlantica guidata dagli Stati uniti d’America. Un dettagliato dossier curato dal servizio studi del Senato italiano mette in fila tutte le date ravvicinate di una serie di incontri tra le due parti che hanno visto il rapido deteriorarsi dei rapporti fino all’inizio delle ostilità. Gli esperti di strategia come ad esempio il direttore di Analisi Difesa, Gianandrea Gaiani, affermano che le guerre se necessario vanno fatte con il carico massimo di distruzione ma in tempi brevi per avviare quanto prima la ricostruzione. Un ragionamento che contrasta con tante tragici precedenti. Il primo conflitto mondiale fu inizialmente preso sottogamba nell’estate del 1914 prevedendo di cessare le ostilità entro le festività natalizie.
Per restare ai nostri giorni, la vittoria frettolosamente annunciata da Geoge W.Bush e Tony Blair nel 2003 in Iraq ci ha mostrato la tentazione dei governanti di giocare all’apprendista stregone senza pagarne personalmente le conseguenze. Così come Sarkozy con la guerra in Libia nel 2011, per non tralasciare il fallimento dei 20 anni di missione militare dell’Occidente in Afghanistan frettolosamente archiviata nel dibattito pubblico ora alle prese con il caos al centro dell’Europa. Dove nazioni, con una tradizione cristiana rimasta indenne dopo decenni di ateismo di stato, assistono ora, come mostrano le immagini d’agenzia, i preti benedire su entrambe i fronti uomini e donne pronti a combattere una guerra fratricida. Non tutti a dire il vero come testimoniato su cittanuova.it dal pope ortodosso di Mosca Giovanni Guaita che ha sottoscritto coraggiosamente con altri sacerdoti un forte appello contro la guerra.
Ma il conflitto di coscienza non riguarda solo chi si trova su un campo di battaglia che può rapidamente estendersi fino a coinvolgere i Paesi della Nato e quindi a rendere possibile l’impiego dell’arma nucleare. Uno scenario apocalittico rimosso ma ora reso esplicito da dichiarazioni ufficiali che non si limitano alla minaccia della deterrenza, senza contare la minaccia concreta di un disastro nucleare innescato da un pesante conflitto armato che si svolge in un Paese che ospita, grazie all’eredità sovietica, non solo la centrale atomica di Chernobyl.
Martedì primo marzo 2022, ultimo giorno di Carnevale, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha tenuto uno storico discorso alle Camere per spiegare le ragioni che hanno portato il suo governo di larghissime intese a decidere di inviare non solo aiuti alimentari e medicine a sostegno dell’Ucraina ma anche armi.
Una scelta che ha registrato un consenso quasi plebiscitario in Parlamento con l’adesione convinta del partito di opposizione di destra di Fratelli D’Italia. Il leader della Lega Matteo Salvini ha schierato il suo partito sulle posizioni del governo pur manifestando perplessità e dubbi che lo hanno esposto alle critiche di vicinanza ideologica con Putin. Il Pd di Enrico Letta si è schierato nella maniera più decisa a favore del sostegno dei mezzi militari all’Ucraina.
L’unica voce contraria è arrivata dal rappresentante di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, da ex parlamentari 5 Stelle ma anche da esponenti rimasti nel partito come i senatori Gianluca Ferrara e Vito Rosario Petrocelli che presiede la commissione esteri del Senato. La divergenza con la posizione del ministro degli Esteri Luigi Di Maio è destinata a non restare senza conseguenze in un clima che si fa sempre più difficile se si tiene conto ad esempio dalla richiesta di rimozione avanzata da alcuni deputati Pd contro il corrispondente Rai da Mosca, Marc Indaro, per aver descritto l’avanza progressiva della Nato avvenuta in questi anni verso Est.
L’invio di armi in Ucraina come ha messo in evidenza l’analista Gianandrea Gaiani ci rende di fatto cobelligeranti con la possibilità, già annunciata da parte russa, di esporre i convogli di armi ad azioni belliche. Un’eventualità che avrebbe meno conseguenze, secondo altri osservatori, se le operazioni di consegna saranno affidate a contractors, cioè a società di servizi militari privati.
Si tratta di questioni formali che non intaccano il passaggio epocale della scelta compiuta dall’Italia con Mario Draghi che, oltre l’immagine del grande esperto di economia, ha mostrato una forte determinazione nell’affermare che «a un popolo che si difende da un attacco militare e chiede aiuto alle nostre democrazie, non è possibile rispondere solo con incoraggiamenti e atti di deterrenza».
«Questa è la posizione italiana, la posizione dell’Unione europea, la posizione di tutti i nostri alleati» ha ribadito Draghi che ha sempre fatto riferimento alla forte fedeltà atlantica come cifra del suo governo ribadendo l’intenzione di «investire nella difesa più di quanto abbiamo mai fatto finora». Una scelta strutturale già in atto prima dell’inizio del conflitto in Ucraina come testimoniano le dichiarazioni del ministro della Difesa Lorenzo Guerini e la direttiva adottata dal governo nel 2021 sulla politica industriale per la difesa.
In linea più generale c’è anche da registrare che le sanzioni commerciali e finanziarie adottate contro la Russia, se pure possono apparire meno letali delle armi, svolgono un ruolo più efficace contro Putin come ha osservato Marta Dassù, tra gli estensori del nuovo concetto strategico della Nato, tanto da farle presagire una schiacciante vittoria occidentale nei tempi supplementari della tragica partita della guerra mossa da Mosca. Non è convinto, invece, dell’efficacia e bontà di tali misure sanzionatorie l’economista Luigino Bruni per gli effetti a cascata sulla popolazione, non solo in Russia. Come conferma Coldiretti l’aumento vertiginoso del prezzo del grano già comporta un problema di scorte.
La chiamata alle armi da parte di Draghi in Italia si associa con le scelte compiute nella stessa direzione in Germania dal governo di coalizione tra socialdemocratici, liberali e verdi. Una formazione politica quest’ultima segnata, si pensi all’ecopacifismo di Petra Kelly, da una decisa contrarietà alla politica degli armamenti.
Come ha detto Draghi nella risposta a braccio data nel dibattito al Senato «quello che stiamo vivendo è più di un grosso cambiamento, la sensazione che tutti noi abbiamo è quella di entrare in un periodo completamente diverso da tutto ciò che abbiamo visto finora, un periodo esistenziale in cui il futuro cambierà radicalmente».
Si tratta di vedere ora che risposta riuscirà a dare quel movimento per la pace che si è riunito spontaneamente in veglie e cortei in tutta Italia con una partecipazione maggioritaria di persone che votano partiti schierati a favore dell’invio delle armi in Ucraina. Pax Christi non ha perso tempo per dichiarare con il suo presidente, il vescovo Giovanni Ricchiuti, la contrarietà assoluta alla partecipazione diretta alla guerra con la fornitura di armi. «Mi sembra che qui si vedano ben chiari i grandi interessi delle lobby delle armi» ha detto Ricchiuti criticando l’operato del ministro della Difesa Guerini, dem di estrazione dc. Ma anche in campo cattolico è oggettivamente molto forte il richiamo alla teoria della guerra giusta, esibita anche in questo momento dato che sulla questione non esiste una visione comune nonostante il magistero di papa Francesco.
L’insieme delle organizzazioni riunite nella Rete pace e disamo hanno indetto per sabato 5 marzo una manifestazione con un corteo che giungerà a Piazza San Giovanni a Roma a favore di un’Europa di pace affermando che, a partire dalla condanna senza riserve dell’aggressione di Putin, «dobbiamo prodigarci per una cessazione degli scontri con tutti i mezzi della diplomazia e della pressione internazionale, con principi di neutralità attiva ed evitando qualsiasi pensiero di avventure militari insensate e fermando le forniture di armamenti che non possono certo portare la pace ma solo acuire il conflitto». Sono previste testimonianze testimonianze da varie zone di conflitto: dall’Ucraina, dalla Siria, dai Balcani, dall’Afghanistan e dalla Palestina.
Si potrà rendere visibile perciò, la divaricazione effettiva tra una parte della società civile e la scelta del governo Draghi sostenuto da una schiacciante maggioranza del Parlamento italiano.
Un confronto lacerante che pone in gioco scelte politiche e personali di fronte alle quali non si può restare semplici osservatori, con la guerra nel centro dell’Europa e la deriva dell’apocalisse nucleare mai così vicina nei decenni seguiti al momento di cesura della storia avvenuta con il fungo atomico che si è alzato ad Hiroshima il 6 agosto 1945.