Guerra nucleare, politica e opinione pubblica
È giustamente considerata una svolta epocale la dichiarazione di Olaf Scholz di stanziare missili statunitensi a lungo raggio in Germania a partire dal 2026.
Il cancelliere socialdemocratico lo ha annunciato durante l’ultimo vertice della Nato che si è tenuto a Washington nello scorso mese di luglio, celebrando i 75 anni dell’Alleanza Atlantica.
Come afferma lo stringato comunicato congiunto di Germania e Usa, testo accessibile sul sito della Casa Bianca, tra i sistemi che verranno dispiegati ci saranno gli «Sm-6, i Tomahawk e armi ipersoniche in via di sviluppo», tutti con «gittata significativamente superiore» rispetto a quelli attualmente di base in Europa.
Come già esposto su cittanuova.it, alcune fonti di solito ben informate prevedono che un dispiegamento di tali missili avverrà probabilmente anche in Italia.
Niente di ufficiale, ancora, per il nostro Paese; che ad ogni modo ha siglato, durante l’incontro di Washington, un accordo con Germania, Francia e Polonia per lo sviluppo e la produzione di un nuovo missile a lungo raggio che, secondo la Rivista italiana di difesa, «potrebbe anche essere il nuovo Land Cruise Missile presentato da MBDA a Eurosatory». MBDA è il consorzio europeo di costruttori di missili dove è presente, con il 25%, la società italiana Leonardo, mentre Eurosatory è la grande fiera internazionale del settore della difesa che si svolge ogni due anni in Francia.
Si parla, a ragione, di una svolta epocale, perché la scelta di Berlino di ospitare missili nucleari in grado di colpire direttamente le postazioni russe è una diretta conseguenza della crisi scoppiata intorno al Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) relativo alle forze nucleari a medio raggio siglato nel lontano 1987 da Mikhail Gorbaciov e Ronald Reagan. L’accordo è stato disdetto dagli Usa durante la presidenza Trump nel 2019 e poi dalla Russia, che era stata accusata da Washington di aver violato per prima gli accordi.
Il trattato del 1987 permise di smantellare i missili a medio raggio, sovietici e statunitensi, che erano dislocati in Europa, liberando la popolazione da un senso cupo di oppressione e dalle lacerazioni politiche profonde evidenti nel contesto democratico occidentale, con proteste che coinvolsero milioni di persone. Si può desumere che certe istanze presenti all’interno del sistema sovietico portarono all’avvento di Gorbaciov nel palazzo del Cremlino. Il nuovo leader sovietico fu una sorpresa per gli interlocutori occidentali che, secondo varie testimonianze, rimasero increduli davanti alla sua sincera ricerca di un disarmo bilaterale.
Oggi lo scenario appare decisamente diverso. «Le grandi potenze giocano sulla pelle di noi europei con il fuoco nucleare», afferma un appello lanciato da Peacelink per opporsi alla preparazione della dislocazione dei nuovi missili in Europa. Ma gli stessi firmatari del testo, tra i quali il fisico Carlo Rovelli e il missionario Alex Zanotelli, riconoscono che «l’opinione pubblica non ha sufficientemente percepito il pericolo che si profila» mentre «il rischio di una guerra nucleare è sempre più vicina con la decisione della Nato di schierare nuovamente gli euromissili entro il 2026. Siamo all’inizio di un’escalation in quanto la Russia agirà di conseguenza».
Ad inizio agosto, alla vigilia della ricorrenza delle bombe nucleari alleate lanciate nel 1945 sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, 6 tra associazioni e movimenti cattolici hanno rilanciato l’invito ad affrontare la questione dell’adesione dell’Italia al trattato Onu che mette al bando le armi nucleari. È fin troppo nota la posizione di condanna di papa Francesco verso non solo l’uso ma anche il possesso di queste armi di inimmaginabile potenza distruttiva. Un’istanza condivisa da circa 50 realtà dell’associazionismo cristiano che sostengono la campagna “Italia ripensaci”, promossa da Rete italiana pace e disarmo.
Si tratta ora di capire l’incidenza reale di questi appelli, che possono apparire demodé, di fronte alla crescita del riarmo atomico giustificato per l’effetto deterrente del possibile annientamento reciproco. Una teoria che si mostra sempre più fragile, a cominciare dalla pluralità dei detentori di tali strumenti di morte in grado di scatenare un’incontrollabile reazione a catena.
Un tale dilemma è stato già affrontato negli anni ’80 all’interno dell’associazionismo di ispirazione cristiana, davanti alla decisione del governo del tempo di installare in Italia missili nucleari Cruise a medio raggio, come risposta al dispiegamento degli SS-20 sovietici in Europa. Ne parla in maniera approfondita lo storico Pietro Domenico Giovannoni nel libro «Io amo il futuro». Ernesto Balducci e la pace (Nerbini editore 2023), dove si riporta il dibattito avvenuto tra le associazioni cattoliche e con il mondo politico segnato dal ruolo preminente di governo della Democrazia Cristiana.
Si trattò di un confronto capace di affrontare il nodo dell’assoluta insostenibilità dell’arma nucleare e quello del potere delle lobby militari e industriali nel condizionare le decisioni dei governi.
Ad un primo documento molto chiaro e netto dell’associazionismo, pubblicato il 31 ottobre 1979 da Avvenire, ne seguì uno successivo alquanto generico; mentre il democristiano presidente del Consiglio Francesco Cossiga giunse, nel dibattito in Parlamento, a rivendicare la sua laicità di politico al servizio degli interessi della nazione, operando la consueta distinzione tra piano dei valori e quello del realismo. «Vi è il dovere della testimonianza permanente dei supremi valori della vita e della pace, ma vi è anche il dovere dei governanti di operare scelte rese possibili e prudenti dalle situazioni concrete per proteggere la vita e la pace tra i popoli, non solo come valori ma come realtà», affermò in quella sede il politico destinato poi ad essere eletto alla presidenza della Repubblica nel luglio del 1985.
Il dissidio toccò anche gli intellettuali della Lega democratica, con Pietro Scoppola schierato a favore dell’installazione dei missili contro il parere dei giovani David Sassoli e Paolo Giuntella.
Il movimento contro l’installazione dei missili nucleari, posizionati poi nella base di Comiso in Sicilia, mobilitò milioni di persone, ma alla fine rimase sconfitto. Una vicenda ripercorsa negli anni 90 da Adriano Sofri, ex leader di Lotta Continua, in un significativo articolo su Repubblica dove confessò, allo stesso tempo, il personale legame affettivo con quelle lotte del pacifismo italiano e il riconoscimento, con il senno di poi, del buon senso dei governanti del tempo. Un cambio di prospettiva che accompagna anche le sue prese di posizione più recenti.
L’incalzare degli eventi e l’instabilità dello scacchiere internazionale che legittima la politica del riarmo, condivisa dai vertici europei, sono elementi necessari per capire l’apparente assuefazione dell’opinione pubblica verso lo scenario dello scontro che non esclude l’arma nucleare.
Ma chiede allo stesso tempo per chi è contro la guerra, di guardare in faccia la realtà e proporre strade alternative di fronte ad una chiamata alle armi sempre più pressante, come dimostra la polemica emersa a Ferragosto tra Paolo Mieli e il ministro della Difesa Guido Crosetto. Il noto editorialista del Corriere dalla Sera ha criticato duramente il ministro della Difesa per aver sollevato perplessità circa la nuova strategia adottata dall’Ucraina di colpire direttamente i russi nel loro territorio.
Si può immaginare il peso del richiamo espresso da Mieli dalla pronta risposta di Crosetto, pubblicata sullo stesso quotidiano, per rivendicare l’affidabilità dell’Italia nel sostegno all’Ucraina assieme al costante e rinnovato apprezzamento degli Usa verso il governo del nostro Paese.