Guerra in Ucraina, la posizione dei nuovi vertici Ue

Con il voto della maggioranza del Parlamento europeo appena rieletto, si riafferma la linea favorevole al riarmo da parte di Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea. Censurati i tentativi del presidente di turno della Ue, l’ungherese Viktor Orbán, di avviare il dialogo con Russia e Cina. In che modo può incidere l’opinione pubblica maggioritaria che sembra favorevole alla ricerca della pace in uno scenario sempre più difficile?
Ursula von der Leyen e Kaja Kallas EPA/OLIVIER HOSLET / POOL

L’Unione europea post elezioni di giugno 2024 appare sempre più una miscela esplosiva. Mentre la maggioranza dei cittadini, nei vari stati membri dell’Ue, desidera passi concreti verso la pace in Ucraina, la situazione è, di fatto, ben diversa a livello delle istituzioni dell’Unione.

Il nuovo Parlamento europeo (Pe) ha votato a larga maggioranza per una presidente della Commissione europea,  Ursula von der Leyen, che ha come priorità la difesa armata dell’Unione europea (Ue). La nuova Alta rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la sicurezza, e vice-presidente della Commissione, la premier estone Kaja Kallas, è, invece, conosciuta in patria come russofoba.

Nel nuovo parlamento, quasi tutti i gruppi politici hanno l’aumento della spesa pubblica nella difesa tra le loro priorità, addirittura come prima priorità nel caso del gruppo di maggioranza relativa, il Partito polare europeo, dalle cui file proviene anche la presidente della Commissione.

Non si punta solo a migliorare qualitativamente la capacità di difesa dell’Ue, razionalizzando (per esempio avere un solo tipo di carro armato europeo, invece dei 17 attuali) e rendendo interoperabili i sistemi militari nazionali, o facendo investimenti e ricerca comuni tra Stati.

La maggioranza dei deputati europei vuole aumentare le spese militari, e in particolare produrre più armi. Il problema è che le armi prima o poi si usano, anche per sostituirle con altre più moderne. Costruite con le migliori intenzioni, finiscono per alimentare guerre, in Europa e nel mondo.

Fa eccezione il piccolo gruppo della Sinistra (The Left), all’opposizione e con una debole voce al Pe, che ha fra le sue priorità la pace, convinto che «l’Europa deve costruire relazioni positive con il resto del mondo» e che le nostre «strategie di politica estera e di sicurezza devono essere basate sulla pace e non sull’attuale tendenza alla militarizzazione».

D’altronde, nella la prima risoluzione adottata – a larghissima maggioranza: 495 voti a favore – nella nuova legislatura, il 17 luglio, il Parlamento europeo «sostiene fermamente l’eliminazione delle restrizioni all’uso dei sistemi di armi occidentali forniti all’Ucraina contro obiettivi militari sul territorio russo».

Una risoluzione, per fortuna non vincolante, in linea con la tesi della “guerra di aggressione illegale, non provocata e ingiustificata” da parte della Russia e della “vittoria dell’Ucraina”.

Una narrazione messa in discussione da diverse fonti che parlano di aggressione “illegale e ingiustificata” ma provocata intenzionalmente dagli Usa, come riporta, ad esempio, lo studioso statunitense Benjamin Abelow nell’agile e documentato “Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina”, Fazi editore 2023.

La vittoria dell’Ucraina, inoltre, secondo un numero crescente di militari e analisti Usa e europei, appare ormai impossibile sul campo, senza un ingresso in guerra diretto della NATO, senza cioè scatenare la Terza guerra mondiale.

In genere,  i vertici della Ue sono concordi nel parlare di una «guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina [che] fa parte di una più ampia serie di obiettivi contro l’Occidente» che tuttavia non vengono specificati ma che, a forza di essere evocati, possono trasformare una guerra di confine in una guerra globale.

Anche Ursula von der Leyen, riconfermata alla presidenza della Commissione europea con una solida maggioranza dal voto del Pe il 18 luglio, ha tenuto un discorso di investitura davanti al Pe con mille priorità per compiacere il maggior numero di gruppi politici: più competitività, cara al partito popolare; la continuazione del Green deal, ma in modo più consensuale, per attirare i voti dei verdi; la nomina di un commissario per favorire l’accesso all’abitazione per i meno abbienti, miele nelle orecchie dei socialisti; fino alla linea dura sui migranti e alla proposta di un Commissario per il Mediterraneo, tagliata su misura per ottenere i voti dei Conservatori, e in particolare dei deputati di Fratelli d’Italia, che tuttavia hanno votato contro.

Ma qual è apparsa, a chi ha seguito il suo discorso, la priorità delle priorità, la bussola che guiderà il prossimo quinquennio? Il rafforzamento della capacità militare dell’Ue (priorità numero uno, ricordiamo, della famiglia politica di von der Leyen): investire di più e meglio in progetti strategici in campo militare, costruire nei prossimi cinque anni un’Unione europea della difesa, di cui si farà garante il futuro commissario europeo alla difesa, che lavorerà a braccetto con Kaja Kallas.

I governi nazionali non sono da meno: i 23 dei 27 Stati membri dell’Ue che fanno parte della Nato (solo Austria, l’Irlanda, Cipro e Malta non appartengono all’Alleanza atlantica) stanno impegnando le loro finanze pubbliche per raggiungere il 2% del PIL in spese militari richiesto dalla Nato.

Ricordiamo che ci sarebbero anche altri impegni assunti solennemente riguardo alla spesa pubblica, come quello, assunto nei confronti dell’Ue, d’investire il 3% del PIL nella ricerca (l’Italia è all’1,45%). Investire in Ricerca e sviluppo significa investire nel futuro, in una migliore qualità di vita per le generazioni a venire, ma non si avverte una particolare urgenza per rispettare questo obbligo.

Eppure la pace con la Russia è non solo necessaria, ma possibile. Un trattato di pace, negoziato dall’allora premier israeliano Naftali Bennet, stava per essere firmato tra Zelenskyj e Putin a marzo 2022, centinaia di migliaia di morti fa, come hanno testimoniato non solo i negoziatori russi, ma anche fonti ucraine e lo stesso Bennet. Tranne che, nel silenzio assordante dell’Ue, l’allora premier britannico Boris Johnson, su iniziativa del presidente Joe Biden, ha convinto l’Ucraina a non firmare un trattato di pace con la Russia, giacché essa – agli occhi degli Usa – andava sconfitta militarmente.

Chi parla di pace, oggi, riguardo alla guerra tra Russia e Ucraina? Persone al margine del sistema, come Victor Orbán, primo ministro dell’Ungheria, che assume il semestre di presidenza rotante del Consiglio nella seconda metà del 2024, che ha tentato una missione esplorativa presso le parti interessate dal conflitto (Ucraina, Russia, Cina e Usa) per un cessate il fuoco, in modo da permettere negoziati di pace.

Operazione però sconfessata con evidente irritazione dal Parlamento europeo che, nella famosa risoluzione del 17 luglio, ha apertamente criticato Orbán, ricordando che il presidente di turno «non può pretendere di rappresentare l’Ue quando ne viola le posizioni comuni». Orban è stato sbeffeggiato da Ursula von der Leyen, senza neanche nominarlo, nel suo discorso di investitura.

Gli altri Stati membri dell’Ue, dal canto loro, stanno boicottando le riunioni ministeriali sotto la presidenza ungherese, mandando delegati di basso livello e non membri del governo.

La posizione delle istituzioni Ue andrebbe messa a confronto con l’opinione dei cittadini dell’Ue che, secondo i sondaggi, auspicherebbero che l’iniziativa di Orbán fosse assunta, o presa da tempo, dall’Ue come sua linea ufficiale nei confronti del conflitto in corso.

L’Ue ha la pace nel proprio DNA, è nata per costruire la pace e portarla al mondo. Eppure le sue istituzioni sembrano incapaci di agire, di fronte ad una nuova guerra in Europa, per promuovere davvero la pace, tranne alcuni “marginali” come Orbán.

Forse tocca proprio a noi cittadini ricordarci di questo DNA, farci in prima persona promotori di pace e non cessare di pungolare i nostri governanti, finché la pace tra Ucraina e Russia, e non la guerra, diventi la “posizion

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