Guerra in bianco/nero

L’informazione sul conflitto bellico in Ucraina che giunge nelle nostre case non è sempre veritiera. Il fatto è che la violenza vuole il contrasto evidente e il dettaglio può diventare l’insieme…
(AP Photo/Emilio Morenatti)

L’informazione su questa guerra in Ucraina è straordinariamente efficace, più di ogni altra guerra. Centinaia, migliaia di giornalisti, fotoreporter e cameraman girano per l’Ucraina, si avvicinano pericolosamente agli scontri a fuoco, qualcuno ci lascia le penne, l’adrenalina scorre a fiotti, si documentano fatti drammatici con l’evidenza delle immagini di fuoco, di terra, di aria, di acqua… Regredendo nella guerra e nella violenza verso gli istinti primordiali di sopravvivenza e di sopraffazione, si rispolverano per forza di cose anche gli elementi primordiali di Anassimandro (che erano racchiusi comunque in un cerchio di fuoco).

Il cittadino X, la casalinga di Voghera o l’anziano di Poggibonsi − ma anche il professore di Calestano o l’ingegnere di Sora −, che cosa possono capire dalla valanga di informazioni che bevono ogni giorno, già spaventati da due anni di litanie delle cifre del Covid? Sostanzialmente che la guerra è tra buoni e cattivi, che noi siamo i buoni, che Putin è il cattivo, che la forza militare russa si è impantanata nel fango del disgelo ucraino, che vengono assediate e bombardate città innocenti, che muoiono migliaia di bambini e di innocenti, che Zelensky è un eroe, che i governanti europei sono dei bravi signori che puniscono il discolo Putin privandolo della merendina, che i migranti dalla pelle bianca sono ben accetti, più di quelli con la pelle scura, che la resistenza dei soldati ucraini è eccezionale, che i soldatini russi sono dei bambini inviati al fronte a loro insaputa, che gli oligarchi russi sono demoni, anche se fino a un mese fa ci facevamo affari. E via dicendo.

Una guerra in bianco/nero, si potrebbe dire manichea. È la logica, comunque, della guerra, che non sa distinguere le infinite gradazioni dei grigi, e ancor meno le infinite tonalità della vita. Il messaggio viene semplificato all’estremo, anche se i grandi giornali pubblicano cinquanta nuovi articoli al giorno, anche se le agenzie sciorinano centinaia di news ogni dì.

Tutto è vero, per carità. Ogni tassello di informazione contiene una sua parcella di verità, a meno che non sia una fake come l’invito alla resa del presidente ucraino Zelensky. Ma è l’insieme che non convince. Mi spiego − e a scanso di equivoci vorrei che queste mie riflessioni non venissero scambiate per allucinazioni di un filo-putiniano −: il presidente russo ha la colpa imperdonabile di aver dato il via alla guerra, il che lo mette automaticamente dalla parte del torto, e del torto marcio. Punto. Ma non si può ignorare il fatto che il presidente statunitense Biden, ammettendo candidamente che dal 2015 l’esercito ucraino viene addestrato dagli esperti della Cia in funzione antirussa, spiega bene come la guerra non sia nata solo da una bastarda decisione putiniana, ma anche da una provocazione a stelle e strisce. Ne ho già scritto. Tutto ciò si riflette anche in campo mediatico: anche qui da noi, in Occidente, esiste una “propaganda bellica”, come ne esiste una dalle parti di Mosca. La nostra è decisamente più libera di quella russa, ma è egualmente propaganda, che se da noi non si esprime in censure, si nutre tuttavia di visioni d’insieme orientate sostanzialmente in una sola direzione, quella della logica buoni/cattivi, in cui i buoni siamo noi.

Ricordo che negli anni Novanta a Parigi, dove risiedevo all’epoca, ci fu una grande manifestazione di agricoltori, mezzo milione di persone, che in Francia sono notoriamente assai violenti. E tuttavia la manifestazione fu quasi pacifica: solo una dozzina di teppisti bruciarono cassonetti e cabine telefoniche (allora esistevano ancora). Il telegiornale francese che vidi dedicò cinque minuti alla manifestazione: solo dieci secondi, in coda, documentavano gli incidenti. Vidi poi un telegiornale italiano, che dedicò quaranta secondi alla manifestazione, trentacinque dei quali furono coperti da immagini dei cassonetti e delle cabine telefoniche in fiamme. Che idea poteva farsi il telespettatore italiano di quella visione? Che mezzo milione di contadini francesi erano dei violenti e dei teppisti.

Mutatis mutandis, noi occidentali siamo afflitti dallo stesso fenomeno, così come lo sono i russi dinanzi alla propaganda bellica putiniana, o gli indiani dinanzi alle esternazioni di Modi. A furia di vedere i cattivi russi e i buoni ucraini, non ci rendiamo conto che la guerra è sempre e comunque uno scatenamento dei peggiori istinti della persona umana. Che i russi non sono tutti guerrafondai, ma al contrario sono civili come noi. E che anche tra gli ucraini ci sono soldati e civili non proprio affidabili, come certe coorti del Mare d’Azov di esplicita fede nazista (da cui il verbo “denazificare” usato da Putin). Solo chi ha accesso a documenti più approfonditi, solo chi non vuole pensare solo col telegiornale di riferimento può capire le reali dinamiche della guerra, la complessità delle scene che si vedono sullo schermo.

La guerra è sempre brutta e stupida, da qualsiasi parte la si veda. La guerra è la morte della convivenza civile. La guerra è comunque una sconfitta per l’umanità. Al di là della propaganda, non dobbiamo pensare che la guerra sia una bella cosa, magari simile a un videogioco tra buoni e cattivi. La guerra è la mamma che perde il figlio, è il padre che come il Piero di De André, non riesce a fermarsi: «Fermati Piero, fermati adesso/ Lascia che il vento ti passi un po’ addosso/ Dei morti in battaglia ti porti la voce/ Chi diede la vita ebbe in cambio una croce». La guerra è sempre croce e violenza. E va fermata a tutti i costi. Dalle guerre si esce tutti sconfitti: ricordiamo l’Afghanistan russo e quello statunitense, ricordiamo l’Iraq russo e quello statunitense, il Vietnam Usa e quello cinese…

Altra cosa è poi stabilire le responsabilità: intanto fermiamo la barbarie.

 

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