Guerra e armi nucleari, una proposta nel segno di don Milani

Alla vigilia del 2 giugno le principali associazioni cattoliche e non solo chiedono, con una conferenza stampa alla Camera, una Repubblica libera dalla guerra e dalle armi nucleari. Una proposta nel solco della scuola di Barbiana
Festa della Repubblica Foto Roberto Monaldo / LaPresse

La festa della Repubblica viene a cadere quest’anno 2023 nell’imminenza annunciata dell’aggravarsi dello scontro bellico in corso in Ucraina e a pochi giorni dal centenario della nascita di don Milani, un prete fiorentino che continua a far discutere nonostante sia scomparso nel 1967 a 43 anni con una condanna penale in appello arrivata post mortem per il reato di apologia e incitamento alla diserzione e alla disobbedienza civile.

È invece ancora vivo e vegeto, tuttora citato per le sue analisi strategiche, Henry Kissinger, l’ex potente segretario di stato Usa, dal 1969 al 1977, nato anch’egli il 27 maggio 1923, artefice della politica estera mondiale e che ha, quindi, molto inciso sulla storia contemporanea del nostro Paese collocato nell’Alleanza Atlantica.

Don Lorenzo Milani Foto Osservatore Romano – LaPresse Francesco in pellegrinaggio a Barbiana

Milani aveva origini ebraiche, come le ha Kissinger, ma la sua conversione fino alla vocazione sacerdotale avvenne nel passaggio repentino da una cultura agnostica della colta borghesia fiorentina lontana sideralmente dalla Chiesa come testimonia la forte critica scandalizzata che ricevette dal suo maestro di pittura, Hans Joachim Staude, tedesco trapiantato a Firenze e futuro suocero di Tiziano Terzani. La scelta controcorrente di Milani era animata da una tale radicalità evangelica che le gerarchie ecclesiali non poterono tollerare, fino alla scelta controproducente di isolarlo nella frazione remota di Barbiana, nelle colline del Mugello. Un luogo inaccessibile e dimenticato, come i suoi rari abitanti, che il giovane priore riuscì, invece, a porre come “città sul monte” dando la parola a questa rappresentanza della moltitudine degli esclusi e degli “oppressi” della storia.

L’insegnamento di Milani è come un torrente sotterraneo che continua ad emergere con la chiarezza dei suoi scritti, in gran parte lettere, alimentando scelte personali e collettive. Il suo intimo collegamento con la Costituzione, negli anni cruciali in cui si pensava di doverla metterla in pratica (cfr Statuto dei lavoratori), esprime l’essenza della Repubblica intesa come qualcosa di radicalmente diverso non solo dal regime mussoliniano, ma anche dalla struttura di potere che lo aveva preceduto e quindi forgiato.

Non può che suscitare ancora scandalo, perciò, il contenuto della lettera che Milani indirizzò ai giudici non potendo presenziare, per via del progredire della malattia, al processo intentato contro di lui da ex combattenti offesi per il suo scritto polemico contro i cappellani militari che avevano condannato l’obiezione di coscienza al servizio militare.

Il testo del priore di Barbiana è una contro storia dei manuali scolastici ancora intrisi di retorica patriottica. Prende di mira in particolare il primo conflitto mondiale, il punto di frattura della storia contemporanea che alcuni citano come “inutile strage”, ricordando l’appello inascoltato di Benedetto XV, ma che viene tuttora indicato come il momento fondativo nazionale forgiato dall’unità cementata dal sangue e dal fango delle trincee.

Ufficio stampa Quirinale

Un sacrificio quindi terribile ma non “inutile”, celebrato con enormi monumenti come il sacrario di Redipuglia, in Friuli, che raccoglie i resti mortali di oltre 110 mila giovani, non come monito contro l’assurdità della guerra ma quale espressione di orgoglio nazionale. Si deve poi al generale Giulio Douhet, il teorico dei bombardamenti indiscriminati sulle città come cardine strategico del “dominio dell’aria”, l’intuizione di collocare i resti irriconoscibili di un soldato morto sul fronte, il milite ignoto, all’interno del gigantesco blocco marmoreo del Vittoriano costruito in piazza Venezia per celebrare la monarchia sabauda.

Ogni momento solenne istituzionale prevede il cerimoniale dell’omaggio “all’altare della patria”, con la tomba del soldato ignoto collocato sotto l’effige della dea Roma e la banda che continua a suonare “la canzone del Piave”.

Una liturgia solenne laica molto lontana, quindi, dalla narrazione repubblicana del Socrate di Barbiana, che alcuni considerano  un “cattivo maestro” anche perché la “grande guerra” è considerata un momento di riconciliazione dei cattolici con lo Stato dopo il trauma di Porta Pia del 1870 (conquista armata della Roma pontificia, ndr).

La ricorrenza del 2 giugno, quindi, non può che suscitare fondati dibattiti sulla natura della Repubblica nata con il referendum istituzionale del 1946 e con la cesura netta verso la monarchia che aprì le porte al fascismo, presentatosi come espressione dell’Italia di Vittorio Veneto, fino ad approvare le leggi razziali ed entrare nel secondo conflitto mondiale a fianco della Germania nazista.

Oscar Luigi Scalfaro è stato l’unico presidente della Repubblica a sospendere la parata militare prevista per il 2 giugno decidendo di aprire i giardini del Quirinale come momento di festa di popolo. Una scelta dettata principalmente da motivi economici, ma che teneva conto del periodo di crisi istituzionale della prima Repubblica (1992-1999).

Foto Mauro Scrobogna /LaPresse 2022 Festa della Repubblica

Si deve invece alla presidenza di Carlo Azeglio Ciampi (1999-2006), ex governatore della Banca d’Italia di cultura azionista repubblicana, la forte promozione di un patriottismo di carattere risorgimentale con l’enfasi dell’inno nazionale diventato popolare con il “siam pronti alla morte” e “l’Italia chiamò” negli anni segnati dall’intervento occidentale in Afghanistan nel 2001 e in Iraq nel 2003.

Il 2 giugno 2023 verrà celebrato con la parata militare e la cerimonia del Vittoriano mentre nel centro dell’Europa si combatte una guerra dagli esiti incerti fino all’incubo dell’uso dell’arma nucleare. Uno scenario che non si può ignorare come afferma con onestà intellettuale il ministro della Difesa Guido Crosetto, intervenuto al festival dell’Economia di Trento, per ribadire che «cosa fare in caso di guerra è una cosa che abbiamo allontanato da noi. Ma le forze armate servono a difendere la Patria. Nessuno vuole arrivare a questo punto. Noi abbiamo persone che per noi sono disposte a morire. Ma non lo concepiamo, cerchiamo di allontanare questa possibilità perché ci fa orrore, anche se ci deve far riflettere».

Una consapevolezza “tragica” che porta a legittimare e incentivare una politica di riarmo e quindi a ritenere necessario anche il possesso dell’arma atomica. Una visione condivisa anche da molti cristiani nonostante i continui appelli di papa Francesco contro le industrie delle armi e l’accumulo delle bombe nucleari, considerati come istanze morali da tener distinte dal realismo politico.

Si comprende perciò la prospettiva totalmente altra espressa da un numero sempre più consistente di responsabili di associazioni e movimenti cattolici, e non solo, che dal 2 giugno del 2021, ben prima quindi dell’invasione russa dell’Ucraina, chiedono all’Italia di aderire al trattato Onu del 2017 che pone al bando le armi nucleari. Non è una scelta semplice, perché comporterebbe una messa in discussione delle dottrina nucleare all’interno della Nato, ma necessaria perché dettata dai tempi estremi che vive l’umanità posta di fronte, come ha detto lucidamente Giorgio La Pira, all’alternativa irriducibile tra la sua autodistruzione e la sua fioritura.

Un confronto aperto, quindi, senza pregiudizi a partire dalla consapevolezza di vivere tempi estremi, cioè davanti all’orrore evocato da Crosetto, che non possono essere rimossi dal nostro sguardo. È questa l’istanza al centro della conferenza indetta per il primo giugno, vigilia della festa della Repubblica, alla sala Stampa della Camera per chiedere “Una Repubblica libera dalla guerra e dalle armi nucleari”.

L’appuntamento è parte di un percorso, cominciato nel 2021, che ha avuto un momento assembleare il 26 febbraio 2022 a Roma e un incontro di confronto pubblico il 18 febbraio 2023 a Bologna con il cardinale Matteo Zuppi, recentemente incaricato dal papa di una missione di pace in Ucraina. Riusciranno queste iniziative a sfondare il muro di gomma sul dogma dell’arma nucleare come chiesto da una parte della società civile con la campagna “Italia ripensaci”? Molto dipende dalla convinzione reale di chi si muove su questo fronte superando la tentazione di fermarsi alle dichiarazioni retoriche. “L’Italia chiamò!”

Qui il link al comunicato della conferenza stampa

 

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