Guercino a Piacenza

Una mostra dove sacro e profano, dramma e lirica, pathos e senso, religione e storia non si confondono né si oppongono, ma convivono entro un clima di assoluta, umana cordialità

Immaginate di salire per scale ripide e strette all’interno dei muri della cattedrale romanica. Di trovarvi a 40 metri di altezza sul tiburio interno, vincendo la fatica e le vertigini.  E poi di soffermarsi ad esplorare con gli occhi curiosi gli affreschi restaurati del Guercino sui pennacchi e le lunette della cupola. Si dimentica tutto. Perchè i dipinti, anni 1625-26, sono così freschi ed espressivi, che lasciano senza parole. I profeti dipinti nelle vele sono figure possenti, affrescate con i colori a macchia tipici del Guercino e con quell’uso morbido del chiaroscuro che è tutto e solo suo.  Con questi mezzi le figure diventano leggere, i volti parlanti, vicini a noi. Guercino è sempre molto umano, cordiale. E’ arte barocca, ma non stanca, non seduce col fasto e la retorica, ma dialoga semplicemente con l’osservatore. Guercino ti fa sentire bene, anche di fronte ai giganti della Bibbia con i loro angeli-ragazzi vivaci, le barbe a mezz’aria o i volti giovanili rapiti nell’ispirazione.

Poi, l’occhio si rivolge più in basso, alle lunette che fiancheggiano la balaustra del tiburio. Ci sono momenti di poesia meravigliosa. Guercino è uno dei rari artisti che sappiano cogliere l’attimo fuggevole della luce speciale che è uguale sia alla sera, quando ancora non ci sono le stelle, e sia all’aurora, quando il sole non è ancora spuntato. Un’ora di indeterminatezza, un chiarore particolare. Ecco allora l’Annuncio ai pastori, ombre dolci che ricordano i versi del Tasso, la falce di luna sorgente, le greggi bianche lontane, il pastore dormiente e quello che si sta svegliando all’apparizione dell’angelo. È la poesia del più puro romanticismo, nella quale Guercino è un grande. Ecco la Natività, un presepio padano, la ragazza piacentina che fa da Maria, il bambino biondo che si agita nella culla, i due pastori assonnati, e l’angelo pieno di letizia che ci mostra il Redentore.  Affetti semplici, diretti, che ricordano certe Natività di Lorenzo Lotto. Poi, dopo la Presentazione al tempio, il Riposo durante la Fuga in Egitto. Soggetto noto, che Guercino situa in un crepuscolo di rosa e blu, l’ora delle ombre rasserenanti, l’angelo violinista contento di suonare, Giuseppe che porge il bambino alla madre. Sul colle soffia la brezza della sera. Elegia campestre, tocco di versi di Virgilio. Ed infine le Sibille, ragazze emiliane in carne ed ossa, alcune delle quali ci guardano in faccia, pronte ad un dialogo amichevole.

 

Discesi dalla cupola, più in fretta di quando siamo saliti, si va alla mostra a Palazzo Farnese. Piccola, per fortuna, ma   ricca. È un nuovo viaggio nell’arte del Guercino. Se si pensa ai contemporanei Carracci, Caravaggio, Reni, Domenichino e compagni, si avverte come la sfida tra questi artisti fosse quanto mai competitiva e quanto fosse difficile trovare una originale vena espressiva. Guercino ci riesce. Crea un linguaggio dove sacro e profano, dramma e lirica, pathos e senso, religione e storia non si confondono né si oppongono, ma convivono entro un clima di assoluta, umana cordialità. Si passa così dal Concerto campestre del 1617 – altra cosa da quello di Tiziano – dove i giovani cortigiani suonano e cantano nella serenità estiva, ai santi Francesco e Bernardino in preghiera davanti alla Madonna di Loreto, sul far della sera; dall’idillio meditativo  Et in Arcadia ego del 1618 alla riflessione calda della Sibilla. Ecco i chiaroscuri trepidanti del Guercino nel san Matteo e l’angelo, ben altra cosa dai vortici caravaggeschi e infine quel Cristo risorto che appare a Maria, di tono squisitamente teatrale.  Ma è gran teatro di luce, di colori meravigliosi (il  viola del manto di Cristo percorso da bagliori elettrici), di un sentimento  affettuoso appena trattenuto.  È un’arte vicina a noi che combina il reale con l’ideale in toni di squisita naturalezza. Mai nulla di forzato, di troppo idealizzato o di troppo veristico. Il racconto della vita, dove l’Immacolata è una ragazza in blu che Dio presenta al mondo sullo sfondo di un mare grigio percosso dai venti. Religione e poesia della natura. Così vicine da farsi tattili e nello stesso tempo visioni. È Guercino, un poeta. Da non perdere.

 

 

 

Guercino tra sacro e profano. Piacenza, fino al 4 giugno (catalogo Skira)

 

 

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