Guardando dietro la tela

Alla Fondazione Prada di Milano, una selezione di opere di artisti che, consapevolmente, hanno posto in primo piano l’elemento abitualmente nascosto, dimenticato o trascurato del retro del quadro
MOSTRA

Celebre fu, alla Biennale di Venezia nel 1968, l’operazione di Gastone Novelli che decise di esporre, come atto di contestazione, un suo quadro al contrario. Come un muro su cui scrivere slogan politici. Le tracce che gli artisti lasciano sul retro del quadro possono essere di varia natura e contenere un livello di intenzionalità variabile nello svelare un contenuto non visibile: dal messaggio esplicito, come quello citato, fino alla presenza di vere e proprie immagini riportate sul retro della tela. Come nei lavori di Llyn Foulkes e di Giulio Paolini, che diventano visibili solo se mostrati al contrario, mettendo così in discussione la prevalenza del recto sul verso. A farne motivo tematico e raggruppare quegli artisti che, consapevolmente, hanno posto in primo piano l’elemento abitualmente nascosto, dimenticato o trascurato del retro del quadro, è una selezione di opere esposte a Milano nella mostra “Recto Verso” presso la galleria Nord della Fondazione Prada.

Se la tradizione occidentale concepisce il dipinto principalmente come un artefatto frontale, il retro sembra trasmettere un significato culturale trascurabile, non essendo destinato allo sguardo del pubblico, perché visibile solo dall’artista e dagli addetti ai lavori. Nella mostra milanese gli artisti attivi nel corso degli ultimi due secoli si oppongono a questa convenzione portando in primo piano il retro della tela. Ad esempio, in alcuni lavori esposti, la tecnica del trompe-l’oeil, resa celebre dai pittori fiamminghi del Settecento, è impiegata per focalizzare l’attenzione sul telaio piuttosto che sull’immagine dipinta. Si tratta di opere che rappresentano il retro di un’opera sia attraverso la pittura, come nei lavori di Louis-Léopold Boilly, Roy Lichtenstein e Luca Bertolo, sia tramite la fotografia, come nelle opere di Gerard Byrne, Thomas Demand, Philippe Gronon, Matts Leiderstam e Ian Wallace. Nel processo in cui il retro inizia a diventare un vero e proprio soggetto d’indagine, la confusione dei due piani si avvicina sempre più a una vera e propria fusione, come nelle combustioni operate da Alberto Burri. Anche la struttura del quadro può passare in primo piano. Come per l’americana Sarah Charlesworth: con l’uso della doppia esposizione, ella guarda attraverso l’opera per dare visibilità agli elementi fisici e strutturali dell’oggetto rappresentato. E se Carla Accardi sostituisce la tela con la plastica trasparente, esponendo così la struttura altrimenti nascosta e il muro retrostante, in anni più recenti Pierre Toby utilizza con la stessa finalità il vetro. Nei lavori di Pierre Buraglio e Daniel Dezeuze, vicini al movimento artistico Supports/Surfaces, nato in Francia verso la fine degli anni Sessanta, il piano pittorico svanisce completamente, lasciando affiorare solo il supporto materiale. L’allestimento della mostra illustra bene il gesto del capovolgere e rivelare, con alcune opere sospese tra le pareti che dividono lo spazio espositivo. Grazie a questo procedimento i quadri, che normalmente sono presentati come entità piane e bidimensionali, diventano oggetti scultorei e tridimensionali attorno ai quali il visitatore può muoversi liberamente.   

 

“Recto Verso”, Milano, galleria Nord Fondazione Prada, fino al 14 febbraio 2016.

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