«Grillo è prigioniero della satira politica»

Giovanna Cosenza, docente di filosofia e teoria dei linguaggi, ha esaminato per mesi il lavoro e la comunicazione del fondatore del Movimento 5 stelle. Vi proponiamo parte dell'intervista che troverete sul prossimo numero della rivista Città Nuova
Grillo e Pizzarotti

Giovanna Cosenza, docente di filosofia e teoria dei linguaggi all’università di Bologna per mesi ha studiato il fenomeno Grilllo: incollata al computer, ha esaminato centinaia di video e di interviste riprese da attivisti e non. Ha scritto un libro sulla comunicazione dei politici "SpotPolitik. Perché la casta non sa comunicare" e il suo blog Dis.amb.iguando è una cattedra online sulle modalità comunicative adottate sui media e dai personaggi pubblici.

Le abbiamo chiesto un’analisi del fenomeno Grillo, riportando alcune risposte di un’intervista che comparirà sul prossimo numero della rivista Città Nuova.  

Grillo è un grande comunicatore e un trascinatore di folle. Quali qualità gli vanno riconosciute rispetto alla casta che non sa comunicare?

«Preciso che più di qualcuno considera Grillo appartenente alla casta perché è un ricco signore con le spalle coperte. Ma Grillo è soprattutto un attore, è un uomo di spettacolo, ha fatto televisione e poi era un comico che già negli anni ’80 faceva satira sociale, poi è passato a quella economica e infine politica. La sua comunicazione si avvantaggia delle sue qualità di showman e ha portato nella comunicazione politica caratteristiche che vengono dalla satira, come l’uso del turpiloquio, della caricatura, dell’imitazione, i nomignoli, l’aggressività verbale, l’invettiva. Sono tutti strumenti della satira politica e dello spettacolo, che lui ha trasferito molto bene sul terreno della comunicazione politica».

 Però ci sono anche i contenuti…

 «Negli ultimi dieci anni della sua vita Grillo si è molto documentato, si è appassionato a filoni tematici importanti che vanno dalla lotta contro le multinazionali, alla difesa dell’ambiente, dalla sostenibilità a tanti temi che sono poi il programma del Movimento 5 stelle. Da un lato ha imbracciato contenuti che sono motivo di scontento di molti, dall’altro lo ha fatto in maniera spesso documentata attraverso il suo blog. Dal 2005 posta sul blog tesi a volte anche raffazzonate, ma non c’è comunque il vuoto di argomenti che gli avversari gli imputano. C’è quindi l’aspetto del performer che gli viene dal suo essere attore, ma poi c’è anche la sostanza, spesso discutibile, ma c'è. E sono tutti temi di cui la cosiddetta "casta" si è occupata poco e che hanno invece incontrato il favore di quel 25 per cento che lo ha portato in Parlamento».

 Può la rete esaurire la voglia di partecipazione?

 «Ci sono diversi limiti nell’uso che Grillo e il suo gruppo fanno della rete. Da uno come lui per esempio mi sarei aspettata una maggiore propensione all’e-democracy. Le Parlamentarie sono state una delusione sia per i numeri, perché hanno votato solo ventimila, sia per la scarsa trasparenza e il non sfruttamento di piattaforme di e-democracy che all’estero vengono usate molto meglio, penso ad esempio al partito dei Pirati in Germania. Queste sono state occasioni mancate, e qui Grillo ha smesso di essere all’avanguardia: è stato invece una delusione».

 Come spiega il suo negarsi al contraddittorio dei giornalisti?

 «Non ha paura del dibattito con i giornalisti, in rete ci sono tante interviste. Questa ritrosia dichiarata in realtà è un’operazione mediatica, perché negandosi accentra l’attenzione su di sé. Non credo affatto che abbia paura del confronto pubblico, come molti gli imputano».

 Errori o limiti nella comunicazione di Grillo?

 «Credo che il limite fondamentale di Grillo sia che è prigioniero del linguaggio satirico: è quello il suo linguaggio, la sua capacità, ma al contempo è il suo maggiore limite, perché ha impedito a molti di vedere la serietà dei contenuti. Riprendendo la metafora del saggio che indica la luna e gli sciocchi guardano il dito: lui indica una sua luna, è un visionario, ma i mezzi con cui lo fa – e cioè il turpiloquio, l’invettiva, l’aggressività – concentrano l’attenzione sul dito invece che sulla luna: questo “dito” attrae troppo l’attenzione su di sé, su queste modalità e questo gli ha fatto perdere serietà. Coloro che guardano troppo al suo dito insomma non sono sciocchi, come nella metafora originale, ma la colpa è del dito, è il dito che non è sempre adatto a indicare la luna che Grillo vuole indicare. Insomma, nella politica vera, quella che poi deve realizzare le cose, non si può continuare con questo stile. Non può continuare con questo linguaggio per cui un giorno si dà del morto vivente a Napolitano e il giorno dopo lo si riconosce con tanto di "chapeau", come Grillo ha fatto. Grillo non ha ancora trovato una soluzione, non riesce a uscire dallo stesso linguaggio satirico che lo ha portato fino a questo punto».

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