Grecia, una crisi senza fine

L’emergenza non è più solo economica ma anche umanitaria. L’egoismo e la mancanza di solidarietà dell’Ue rischiano di far crollare il castello europeo. Sulla pelle della gente
Grecia

Il governo Tsipras è sballottato tra il problema dei profughi, quello degli agricoltori, delle pensioni, delle licenze delle reti televisive, del debito privato, dell’imminente valutazione del programma, mentre l’opposizione si fa meno cooperativa e l’opinione pubblica più critica se non ostile. Nello stesso tempo si vede che la luna di miele con le instituzioni europee sta finendo per quanto riguarda il programma di austerità, mentre lo scontro con nazioni e istituzioni sul fronte dei profughi e migranti sta aumentando.

 

La decisione di escludere la Grecia dal vertice balcanico sulle migrazioni, tenutosi a Vienna pochi giorni fa, è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il governo ha richiamato la sua ambasciatrice a Vienna per consultazioni, è la prima volta che succede tra due alleati; mentre, secondo fonti giornalistiche, il governo ha rifiutato la richiesta di visita avanzata dal ministro degli Interni austriaco. Inoltre il ministro greco per l’immigrazione, Yannis Mouzalas, ha minacciato di porre il veto nel prossimo vertice europeo come ritorsione alle scelte unilaterali dei vicini, e ha sottolineato che «la Grecia non diventerà il Libano dell’Europa, né una prigione di anime disperate, anche se ci fossero compensazioni finanziarie». A questo punto vale la pena ricordare che Mouzalas è un eccellente ministro low profile, riservatissimo, che lavora 24 ore su 24 e sta svolgendo un gran lavoro, anche se nominato con ritardo, a causa delle scelte sbagliate di Syriza nei primi nove mesi del suo primo governo.

 

Anche se prima di queste iniziative da ultima spiaggia il governo avrebbe potuto avanzare altre richieste alle istituzioni europee come, per esempio, delle sanzioni per i Paesi che violano accordi e principi europei come quello della solidarietà, l’opinione pubblica ora le supporta. Si capisce che né il Paese né le comunità locali ce la fanno più. Il Paese è già in gran crisi con molti problemi da risolvere e non può gestire da solo le ondate di profughi e migranti. La gente coopera e aiuta con il proprio sacrificio e per motivi umanitari, ma questo non basta. Inoltre le isole che vivono di turismo sono in gravi difficoltà: a Lesbos si notano cancellazioni di prenotazioni all’ottanta-novanta per cento e nelle altre isole a livello del sessanta-settanta per cento, perché secondo i tour operator i turisti ormai chiamano queste isole “le isole degli affogati”. Le comunità locali aiutano ma, allo stesso tempo, dichiarano che prima o poi gran parte della gente sarà costretta a lasciare le isole perché non potrà sopravvivere, visto che gli alberghi saranno quasi vuoti e i negozi chiusi.

 

Ma i problemi non si limitano alle isole. Ad Atene la situazione è pure difficile. Le ondate di profughi e migranti che arrivano dalle isole al porto del Pireo si dirigono a piazza Victoria, una piazza centrale vicino al Museo Archeologico Nazionale, che per loro e un meeting point, dove la situazione è ugualmente fuori controllo anche se il sindaco di Atene e i volontari fanno del loro meglio. L’altro giorno due migranti, venuti a sapere che le frontiere a Idomeni erano chiuse, hanno tentato di suicidarsi.

 

Attualmente si stima che nel territorio greco siano presenti 25 mila migranti e si aggiungono due o tre mila nuovi arrivi al giorno. Si capisce che fra non molto si raggiungerà il numero di 70 mila persone, che non sarà gestibile, il che vuol dire che la crisi umanitaria è alle porte. Misure come l’aumento degli hot spot e il rallentamento del trasporto dei migranti dalle isole al porto del Pireo non basteranno. Intanto, un gruppo di 2 mila migranti ha rotto le recinzioni nel centro di accoglienza di Diavata, vicino a Salonicco, e si dirige a piedi verso Idomeni, al confine tra Grecia e FYROM (così viene chiamata la Macedonia in Grecia, per l’antica questione dell’ “scippo” del nome da parte di Skopye, ndr), dove sono già bloccati 4 mila migranti, dopo la decisione della FYROM di chiudere il confine.

 

In sintesi un Paese già in gran crisi viene lasciato da solo ad affrontare un problema che altri Paesi più avanzati e più sani dal punto di vista finanziario e organizzativo non possono o non vogliono gestire, mentre le misure richieste dalla troika aumentano, la gente è stremata e non ha più niente da dare. Gli estremisti di Alba Dorata si preparano a raccogliere i loro dividendi e l’euroscetticismo aumenta. E’ difficile capire che 28 Paesi di 500 milioni di abitanti non possono accogliere un milione di profughi e migranti e aspettano da un Paese già semidistrutto di gestire una situazione fuori di ogni controllo. Quello che non capiscono, tra altro, è che la disperazione umana non riconosce confini e che, prima o poi, questi gruppi disperati romperanno le recinzioni e abbatteranno i muri. E allora cosa succederà? Saranno costretti o lasciare i profughi passare o a respingerli violentemente. Sarebbe più saggio prevedere e trovare una soluzione in tempo prima che si creino situazioni vergognose sia per la Ue che per il mondo civilizzato.

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