Grecia, i tanti “perché?” di una tragedia
Dopo le prime giornate convulse, è iniziato un altro atto del dramma di Mati, quello dell’identificazione dei morti, che risulta estremamente difficile visto che i corpi sono, nella magior parte dei casi, carbonizzati. La procedura del riconoscimento con il Dna è necessaria, ma richiede tempo, aumentando la disperazione e aggravando lo stato di prostrazione psicologica dei parenti.
Intanto, anche se governo e partiti evitano ancora di discutere sulle responsabilità della tragedia, il procuratore generale ha già avviato delle indagini per ricostruire le cause della catastrofe, mentre l’opinione pubblica è in fermento. Anche i meno esperti capiscono che non sono entrati in funzione i basilari meccanismi di prevenzione e di gestione dell’emergenza, nemmeno il giorno dopo l’incendio.
Il giorno della catastrofe, l’indice di allerta per gli incendi, secondo la Protezione civile, era al massimo livello a causa delle temperature alte associate al vento che spirava a 120 chilometri all’ora. E tuttavia non sono state prese misure preventive e cautelative. Ci si chiede il perché.
Si dice altresì che nessuno si sarebbe potuto aspettare che, dalla montagna di Penteli, il rogo oltrepassasse Maratona e arrivasse a Mati: giustificazione inattendibile, soprattutto se invocata da ufficiali governativi. Alle fiamme sono, infatti, bastati appena quindici minuti per un tale “passaggio” e solo tre minuti per distruggere tutto e arrivare sino al mare. L’incendio nell’Ovest del Peloponneso nel 2007 era stato, secondo gli esperti, cento volte più selvaggio, era durato tre giorni e c’erano stati 73 morti. Nel caso di Mati in tre minuti abbiamo avuto più di 82 morti. Ci si chiede il perché.
Seicento persone inseguite dalle fiamme sono scese per loro iniziativa verso la piccola spiaggia di Kokino Limanaki aspettando che qualcuno venisse dal mare a salvarle. Ma nessuno si è fatto vivo. Hanno chiamato una rete televisiva chiedendo aiuto. Poi, visto che le fiamme avevano ormai raggiunto le chiome degli alberi attorno alla spiaggia e la temperatura si era alzata pericolosamente, sono state costrette a tuffarsi e a nuotare non poco tempo, anche perché l’acqua del mare scottava a riva. Sono rimaste in mare dalle quatto alle cinque ore, dopo di che sono arrivate le prime barche. Si capisce che molti anziani e bambini non ce l’abbiano fatta. E ci si chiede il perché.
Il primo corpo carbonizzato all’interno di un’auto è stato scoperto da un giornalista. Fino a quel momento nessuno se n’era accorto. Ci si chiede il perché.
Molte vittime sono rimaste intrappolate nelle loro macchine a Maratona e sono bruciate vive. Ci si chiede il perché.
Non è stata ordinata l’evacuazione dell’area di Mati per tempo. Si trattava di un area incantevole, ma problematica. I problemi erano di vecchia data, perché Mati era un borgo con stradine così strette che persino un’auto faceva fatica ad entrare, perché gran parte dell’abitato turistico è stato costruito in deroga al piano urbanistico, quando ogni operatore chiudeva le vie d’accesso al mare creando parcheggi o spiagge private… Nessun governo e nessun sindaco ha mai risolto i problemi, vuoi per motivi di speculazione edilizia e vuoi per considerazioni elettorali. Ma anche così, si potevano almeno prevedere dei piani d’emergenza e di fuga adatti a una tale complessità urbanistica. Invece nulla. Ci si chiede il perché.
Quanti morti si devono contare per avere una risposta a tutti questi “perché”?