Grecia. La speranza di un famiglia siriana in fuga dalla guerra

Viaggio dentro uno dei campi profughi vicino la città di Salonicco dove la Caritas è in azione. Un colloquio informale, più che un’intervista, con un padre e una madre costretti a fuggire dal loro Paese in guerra. Il timore per i figli distribuiti fino in Germania. La speranza per il futuro. L’importanza della scuola e l’accoglienza come identità culturale
campo profughi Grecia

Situato a poche decine di chilometri da Salonicco, il campo profughi di Vasilika  ospita mille e 250 persone – principalmente famiglie siriane, ma anche afghane – ed è gestito dal personale dell’aeronautica  greca .  Entrando ci siamo imbattuti in alcuni operatori della Caritas greca che stavano distribuendo frutta e verdura, olio d’oliva, sale, zucchero, legumi.

Lo fanno regolarmente tre giorni a settimana. Nello specifico, vengono distribuiti a seconda delle necessità dei rifugiati come razioni “supplementari” anche se si tratta di beni vitali per queste persone, i n particolare per i  350 bambini.

 

Addentrandomi nel campo abbiamo visto l’enorme cisterna (10 mila litri) donata dalla Caritas greca. Lì vicino c’erano anche 50 bagni chimici, divisi equamente tra uomini e donne, e due servizi per persone con bisogni speciali. Sfortunatamente pioveva parecchio e per questo motivo non abbiamo visto bambini divertirsi nel parco giochi costruito sempre dalla Caritas; ogni tanto, durante le nostre quattro ore di visita, qualche bambino si avventurava fuori sfidando la pioggia, ma solo per essere prontamente richiamato dai genitori dentro il capannone. Perché sì, ci sono otto grandi capannoni con tende all’interno, e ciascuna ospita una famiglia.

 

Mentre Maria, l’assistente sociale della Caritas, stava facendo attività di formazione per la squadra di sostegno psicologico – due assistenti sociali, uno psicologo e naturalmente interpreti – ho avuto occasione di girare tra le tende e parlare con le persone. Nona, la nostra interprete, ci ha riferito che una bella famiglia appena arrivata sarebbe stata felice di parlare con noi.

E infatti abbiamo ricevuto da loro un caldo benvenuto. Il padre, Moustafà, ha 40 anni, come la madre Fatih.

Cinque dei loro sei figli non c’erano in quel momento; e mezz’ora più tardi la più piccola è rientrata, bagnata fradicia – era una di quelli che avevamo visto giocare fuori. Ci ha detto di essersi divertita, nonostante la pioggia.

 

 

Ci siamo tolti le scarpe e ci siamo seduti sui tappeti attorno al tavolo, e abbiamo iniziato a parlare. Non è stata un’intervista canonica o una raccolta di testimonianze, semplicemente una chiacchierata a proposito delle nostre vite. Ci hanno raccontato la storia della loro grande famiglia, ora divisa tra Grecia e Germania: il figlio maggiore di 14 anni vive in Germania con la sorella di Fatih e il marito, e ora li attendono tutti lì. Ci hanno anche raccontato di come la guerra sia stata deleteria per la loro città, Hasaka, in Siria, e degli scontri a fuoco tra i curdi e l’esercito governativo.

«Chiunque rimanga neutrale, ossia chiunque non voglia uccidere, è preso di mira da entrambe le parti» ha affermato Mustafa.

 

 

«Ero professore di psicologia all’università, e mia moglie insegnante in una scuola. Non avevamo nessun legame con i gruppi armati che hanno seminato paura e lasciato le strade coperte di sangue e morti».

Sua moglie ha proseguito: «Non potevo lasciare che i miei figli fossero perseguitati dagli incubi o iniziassero a considerare normale la vista di cadaveri nei cassonetti o di bambini gravemente feriti. Non potevo lasciare che vivessero nel terrore di sentire qualcuno bussare alla porta, perché non puoi mai sapere chi sia e perché sia lì. Siamo gente aperta, ospitale, l’ospitalità è sacra per noi».

 

 

Cercando di rendere meno dolorosa la conversazione, abbiamo chiesto qualcosa in più riguardo alle loro professioni, alla vita di tutti I giorni dei loro figli. La madre ci ha riferito che cerca di farli studiare: il programma di Fatih prevede lezioni di arabo, inglese, matematica e geometria. «Voglio che i miei figli e quelli dei miei compatrioti siano istruiti, sono il nostro futuro».

Fatih e il marito sono ansiosi di raggiungere la Germania, ma sono bloccati in Grecia già da sei mesi e sanno che vi rimarranno ancora a lungo: così, nel frattempo, danno lezione a tutti I bambini del campo.

Stavamo chiacchierando già da due ore, imparando molto gli uni dagli altri; ma la cosa più incredibile era vedere come si mantenessero sempre sorridenti qualunque fosse l’argomento della conversazione. «Abbiamo speranza. Non dobbiamo perderla. Le condizioni qui sono migliori. Certamente ci manca la nostra casa, ma siamo scampati alla morte». Fatih ha ripetuto quest’ultima frase quattro volte, guardando il cielo e tenendo la figlia tra le braccia.

 

 

Se non avesse squillato il telefono per ricordarci di ritornare a Salonicco, avremmo potuto passare altre due ore con questa famiglia meravigliosa nella loro tenda così ospitale. Ero senza dubbio affascinata dal sorriso di Fatih, dal brillare dei suoi occhi, dalla sua voce gradevole, dalla sua pelle lucida, dalla sua ospitalità.

 E, soprattutto, non dimenticherò mai il succo di arancia fresco che ci ha offerto per fare gli onori di casa. Lo cercavo, invano, la mattina in albergo, ne avevo bisogno per via dell’umidità di questo settembre e l’ho trovato qui.

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