Grazia Deledda: donna, sarda e premio Nobel
Donna e sarda. Nell’Italia di fine ’800 non si poteva essere più “emarginati” di così nella vita culturale nazionale. Eppure Grazia Deledda, nata a Nuoro 150 anni fa, il 28 settembre del 1871, riuscì ad imporsi come una delle scrittrici più amate e autorevoli, fino alla conquista del Premio Nobel per la letteratura, che le fu conferito nel 1927. Prima (e ancora unica) italiana a ricevere questo onore, la seconda donna in assoluto.
Oggi Grazia Deledda va riscoperta e rivalutata: sia come figura femminile, per la sua tenacia che si scontrava con una società patriarcale, sia come scrittrice, per il suo talento narrativo, evocatore di una Sardegna arcaica e primigenia, scossa da passioni gagliarde e attraversata da una religiosità travolgente. La Deledda seppe reagire con forza alla sua condizione di povertà educativa e di marginalità culturale, pur senza sviluppare una coscienza politica tipica ad esempio di un’altra scrittrice, Sibilla Aleramo, a lei contemporanea.
Autodidatta
Fin dai primi anni Grazia ama leggere e informarsi. Cresce nella consapevolezza della realtà che la circonda e sogna una vita diversa, capace di venire incontro alle sue aspirazioni più profonde. In gran parte la sua formazione è figlia dell’essere testardamente autodidatta, silenziosamente ribelle ai pregiudizi e ai luoghi comuni di parenti e conoscenti.
L’occasione giusta le si presenta grazie a un “buon matrimonio”, come si diceva allora: sposando un funzionario ministeriale, nel 1900 la scrittrice si trasferisce a Roma, che era il suo sogno fin da bambina, portandosi la Sardegna nel cuore. Nella capitale del giovane Regno d’Italia conduce una vita appartata, ma coltiva contatti con tutto il mondo culturale italiano.
I capolavori
Nascono, uno dopo l’altro, nutriti da un ricchissimo mondo interiore, i suoi capolavori: Elias Portolu, Cenere (da cui fu tratto un film con Eleonora Duse), L’edera, Canne al vento, Marianna Sirca. Sullo sfondo quasi sempre della “sua” Sardegna, cominciano a vivere sulla carta i suoi personaggi: pastori e aristocratici, possidenti e banditi, sacerdoti e borghesi. Confluiscono nella sua scrittura le suggestioni del Verismo e del Decadentismo, ma lei apre una strada tutta sua: la fedeltà all’identità sarda si salda con le aspirazioni delle nuove generazioni e dei nuovi tempi che lei condivide e vive.
I grandi autori si accorgono di lei: Giovanni Verga l’apprezza, Luigi Pirandello sembra di parere opposto. Senza parlare dell’odio-amore di alcuni intellettuali e autori sardi, che vedono in lei una voce luminosamente fuori dal coro, ma anche l’interprete di una visione “antica”, sorpassata, forse addirittura riduttiva e fuorviante della Sardegna. La sua produzione è immensa: romanzi, racconti, saggi, poesie, articoli, soggetti cinematografici. Su tutto, il contrasto spesso doloroso e irrisolvibile fra natura e cultura, coscienza e vita, doveri e diritti, libero arbitrio e forze oscure dell’io. Il meccanismo peccato-espiazione-riscatto domina le vicende umane e i destini degli individui. La sofferenza stordisce i processi di comprensione umana e la possibilità della redenzione ha un duro prezzo da pagare.
L’eredità
Grazia Deledda muore nel 1936, un decennio dopo il Nobel. Lascia incompiuta la sua ultima opera, dal sapore autobiografico: Cosima, quasi Grazia. E ci lascia un’eredità tutta da riscoprire. Prima di tutto, il ruolo simbolico della sua Sardegna e, per noi, l’attenzione a tutte le “Sardegne” del mondo. Dobbiamo cambiare prospettiva, a partire dalle nostre radici, aprendoci a quei contesti sociali e culturali che sembrano subire il cammino unidirezionale della grande Storia.
Leggere Grazia Deledda ci accosta anche a una forma di religiosità tormentata, ma autentica e liberante, che porta una ventata di novità nel tronco storico del cattolicesimo.
Infine, è auspicabile che le sue opere narrative tornino ad ispirare gli autori di cinema e televisione come negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. La sua è una scrittura ricca di riferimenti visivi e drammaturgici, un palinsesto letterario che aspetta solo di essere nuovamente letto, capito e interpretato dando voce e volto a storie dal forte impatto emotivo e psicologico. Non parliamo di una “operazione nostalgia”, ma di una ricomprensione profonda e autentica, ancora sorprendentemente attuale, del mondo letterario e spirituale di Grazia Deledda con tutti i suoi indimenticabili personaggi.