Gratuità, conflitti, perdono

Il discorso del papa al Villaggio della terra e alla Mariapoli di Roma merita una lettura approfondita. Ognuno può fare la sua. Eccone una tra le mille possibili (prima parte)
papa

Ha parlato a braccio, il papa, lasciando da parte il testo che gli era stato preparato, spinto dal suo consueto moto di partire dal basso, senza pontificare dall’alto. Lo ha fatto dopo aver ascoltato giovani e meno giovani che gli raccontavano qualcosa di quello che fanno per dare un volto più umano alla metropoli capitolina. Già questo “partire dal basso”, o “dalla periferia”, è una chiave di lettura: sì, è possibile aver ricevuto doni particolari, ma lo Spirito parla in questa Terra dal basso, dalle cose, per così dire illuminandole dall’interno. Ogni giorno rinnovato, anzi nuovo.

 

«Sentendovi parlare, mi sono venute alla mente due immagini: il deserto e la foresta», ha esordito. Aggiungendo: «Ho pensato: tutti voi prendete il deserto per trasformarlo in foresta. Andate dove c’è il deserto, dove non c’è speranza, e fate cose che fanno diventare foresta questo deserto». C’è in queste parole l’elogio di chi non va dove si sta tranquilli, sicuri e comodi, ma dove impera il deserto, il deserto umano. È forse una indiretta critica a chi invece resta nella sua casa beato, senza preoccuparsi di quello che non va.

 

«La foresta è piena di alberi – ha continuato –, è piena di verde, ma troppo disordinata… Però così è la vita! Passare dal deserto alla foresta è un bel lavoro che voi fate. Trasformate deserti in foreste! E poi si vedrà come si possono regolare certe cose nella foresta… Ma lì c’è vita, qui no: nel deserto c’è morte». Due parole paiono centrali in questo passaggio, un aggettivo e un nome comune: “disordinata” e “vita”. Sì, nella foresta c’è caos, ma anche vita. Nel deserto invece c’è solo morte. Allora la scelta giusta è quella della vita, anche se è un coacervo di tensioni diverse, di piante affastellate, di sentieri intrecciati. Il disordine può essere ordinato in un secondo tempo. Prima è essenziale che la vita porti i suoi frutti.

 

Ancora: «Tanti deserti nelle città, tanti deserti nella vita delle persone che non hanno futuro, perché sempre ci sono i pregiudizi e le paure. Questa gente deve vivere e morire nel deserto, nella città. Con il vostro lavoro voi fate il miracolo di cambiare il deserto in foreste: andate avanti così». Il papa qui non solo applaude coloro che scelgono il deserto per trasformarlo in foresta, ma fa pure un’analisi “sociologica”: pregiudizi e paure portano alla morte nel deserto. In una società che coltiva paure sempre nuove e che si trincera dietro i mille muri del pregiudizio e dell’esclusione, coloro che trasformano il deserto in foresta fanno la scelta buona, la scelta della non-morte, cioè della vita. Forse il papa qui pensava anche alle reazioni europee alle migrazioni attuali…

 

Francesco è poi passato ad analizzare il modo di lavorare di coloro che aveva di fronte: «Ma com’è il vostro piano di lavoro? Non so… Noi ci avviciniamo e vediamo cosa possiamo fare. E questa è vita! Perché la vita la si deve prendere come viene. È come il portiere nel calcio: prende il pallone da dove lo buttano… viene di qua, di là…». Bellissima metafora quella del portiere della squadra di calcio: chi ha giocato in questo ruolo sa bene che la tensione maggiore del portiere è quella di capire da dove parte il tiro degli attaccanti, o la deviazione del difensore, e magari c’è vento, o la palla è scivolosa per la pioggia, o ancora la punizione è nascosta dalla barriera e non c’è modo di capire immediatamente che direzione prende la palla. Sempre in allerta, il portiere non può mai essere tranquillo. «La vita si deve prendere come viene»: semplicissima verità. Ognuno di noi cerca sempre di far andare la vita per la strada che riteniamo migliore, ma la vita rifugge ad ogni inscatolamento.

 

Un altro passaggio, inatteso (ma non troppo): «Non bisogna avere paura della vita, né paura dei conflitti. Una volta qualcuno mi ha detto – non so se è vero – che la parola conflitto nella lingua cinese è fatta da due segni: uno che dice “rischio”, e un altro che dice “opportunità”. Il conflitto è un rischio ma è anche una opportunità. Il conflitto possiamo prenderlo come una cosa da cui allontanarsi: “No, lì c’è un conflitto, io sto lontano”». Continua su quest’argomento Bergoglio: «Noi cristiani conosciamo bene cosa ha fatto il levita, cosa ha fatto il sacerdote, con il povero uomo caduto sulla strada. Hanno fatto una strada per non vedere, per non avvicinarsi (cfr Lc 10,30-37). Chi non rischia, mai può avvicinarsi alla realtà: per conoscere la realtà, per conoscerla col cuore, è necessario avvicinarsi. Avvicinarsi è un rischio, ma anche un’opportunità: per me e per la persona alla quale mi avvicino. Per me e per la comunità alla quale mi avvicino».

 

E ricorda i giovani e gli adulti che gli hanno appena donato qualcosa della loro vita rischiosa: «Penso alle testimonianze che avete dato, per esempio nel carcere, con tutto il vostro lavoro. Mai, mai, mai girarsi per non vedere il conflitto. I conflitti si devono assumere, i mali si devono assumere per risolverli». Chiaro e limpido: per quieto vivere, per calcolo o per diplomazia possiamo condurre una vita che svicola virtuosamente per evitare i conflitti. Ma i conflitti non risolti ci corrono dietro, e prima o poi ci raggiungono. Il conflitto va guardato in faccia e va risolto, in un modo che però non è conosciuto a priori: è l’opportunità, per me e per colui al quale mi avvicino, entrambi.

 

Un altro spunto incisivo: «Il deserto è brutto, sia quello nel cuore di tutti noi, sia quello nella città, nelle periferie. È una cosa brutta. Anche il deserto che c’è nei quartieri protetti… È brutto, anche lì c’è il deserto. Ma non dobbiamo avere paura di andare nel deserto per trasformarlo in foresta; c’è vita esuberante, e si può andare ad asciugare tante lacrime perché tutti possano sorridere». Altra analisi “sociologica” e “psicologica”: il deserto è in noi (mai dimenticarlo, mai pensare d’essere immuni!), il deserto è nella città e nelle periferie. Ma anche nei «quartieri protetti». Il deserto, insomma, è ovunque. Ma la foresta può nascere dovunque vi sia deserto, a condizione che vi sia l’irrigazione di tante lacrime. Lacrime asciugate dal terreno e trasformate in sorriso, in fecondità.

 

(qui la seconda parte dell'articolo)

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