Grandi opere, diritti umani e calcio spettacolo
Il Qatar è un’estroflessione della penisola arabica circondata dal Golfo Persico e confinante solo con l’Arabia Saudita. Da maggio a ottobre il clima è particolarmente ostile con la temperatura stabilizzata sui 46 gradi. Quando la Fifa nel 2010 ha deciso di disputare i Mondiali di calcio del 2022 nell’emirato, governato fin dal 1825 dalla famiglia Al Thani, era evidente che la competizione internazionale si sarebbe svolta in inverno, sconvolgendo il calendario dei campionati nazionali. Questo piccolo Paese, indipendente dal 1971 dall’impero britannico, che aveva preso il posto di quello ottomano, è sempre più centrale a livello geopolitico (vedi Box).
Si può capire, quindi, perché, in questi anni, sia rimasta sotto traccia e quasi ignorata la denuncia, da parte delle organizzazioni umanitarie, sulle pessime condizioni di lavoro degli operai stranieri, numeri ciclopici da centinaia di migliaia di persone, che hanno realizzato gli stadi e le infrastrutture avveniristiche dei Mondiali al centro delle riprese televisive in mondovisione.
Lo sport spettacolo è usato da sempre come “oppio dei popoli” per far addormentare le coscienze, anche se proprio l’esposizione pubblica si presta a rilanciare messaggi destinati a restare nel tempo. Lo dimostra il coraggioso dissenso degli atleti e delle atlete che sempre più contestano il regime iraniano.
Rappresenta un’icona intramontabile il pugno chiuso in guanti neri levato in alto nel 1968 dai velocisti statunitensi Tommie Smith e John Carlos durante una premiazione delle Olimpiadi di Città del Messico per denunciare la discriminazione razziale negli Usa. Su quel podio anche l’australiano Peter Norman solidarizzò con la causa dei diritti civili e venne punito con l’esclusione arbitraria dai Giochi olimpici del 1972. In Italia è stato rivalutato solo di recente il gesto dei tennisti che andarono comunque nel 1976 a giocare la Coppa Davis nel Cile di Pinochet indossando una maglietta rossa in segno di sfida.
Abbiamo sentito, in merito, Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty International, autore del libro Qatar 2022, i Mondiali dello sfruttamento (Infinito edizioni, 2022).
Nel suo libro lei afferma che i Mondiali del Qatar sono il trionfo dello “sportwashing”. Cosa vuol dire?
Si tratta della strategia di pubbliche relazioni che, attraverso la sponsorizzazione o l’organizzazione di eventi sportivi, mira a nascondere sotto il tappeto la situazione dei diritti umani e altre questioni che potrebbero nuocere alla reputazione internazionale. Con le somme versate dalla Fifa, il Qatar ha costruito o ammodernato stadi di calcio, creato infrastrutture, centri commerciali, alberghi e altro ancora.
Si conosce il numero effettivo degli operai morti sul lavoro?
Secondo un’inchiesta del Guardian, non meno di 6.500. Le autorità del Qatar hanno minimizzato (ancora oggi parlano di tre morti sul lavoro), non hanno fornito certificati di morte sulle cause effettive dei decessi, limitandosi a parlare di complicazioni cardiocircolatorie e non hanno fatto autopsie indipendenti. Gli organismi internazionali sportivi e politici hanno creduto a questa narrazione. Questo enorme numero di decessi ha impoverito ulteriormente le già indebitate famiglie in patria, che hanno perso definitivamente le rimesse del lavoro migrante, non hanno avuto risarcimenti e hanno speso gli ultimi soldi presi in prestito per organizzare i funerali.
Ci sono state reazioni da parte di qualche federazione nazionale o di gruppi di tifoseria organizzata?
Sette delle 32 federazioni calcistiche che prenderanno parte alla fase finale dei Mondiali di calcio (Belgio, Francia, Germania, Olanda, Inghilterra, Galles e Australia) si sono dichiarate pubblicamente a favore dell’appello di Amnesty International alla Fifa perché apra un fondo di 440 milioni di dollari per risarcire i lavoratori migranti vittime di violazioni dei diritti umani e/o le loro famiglie. La Norvegia, la prima ad aderire, non è qualificata ma ha dato un enorme contributo alla sensibilizzazione. Molte tifoserie stanno manifestando con striscioni durante le partite dei loro campionati, per le violazioni dei diritti umani in Qatar: non solo dei lavoratori migranti ma anche della comunità Lgbtqia+. Alcuni calciatori hanno preso posizione, così come alcuni sponsor. Speriamo che durante lo svolgimento dei Mondiali vi siano altre iniziative.
A cosa può servire la denuncia rilanciata da Amnesty?
L’obiettivo dei rapporti, delle campagne e delle denunce di questi 10 anni sul Qatar è che i Mondiali lascino un’eredità positiva e permanente, soprattutto rispetto all’adeguamento delle norme sul lavoro agli standard internazionali. Non so se questo obiettivo sarà raggiunto, non sono ottimista perché le riforme avviate nel 2017 stagnano da un paio d’anni. La strategia del Qatar è recentemente cambiata: se prima si basava sull’enfasi delle riforme fatte, ora ha adottato la tattica della vittimizzazione: mai nessun’altra nazione organizzatrice dei Mondiali di calcio era stata trattata così male. Dipenderà molto da cosa succederà in questi due mesi.
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Il Qatar e l’Italia
Doha, capitale del Qatar, è stata la sede degli accordi tra gli Usa e i talebani sul destino dell’Afghanistan. Nel marzo 2022 il Paese è stato riconosciuto da Washington “Major Non-NATO Ally”, cioè il maggior alleato non appartenente all’Alleanza atlantica ma decisivo dal punto di vista strategico e militare. Grazie alla mediazione Usa e del Kuwait, nel gennaio 2021, è rientrata la crisi dei rapporti con Arabia Saudita e altri Paesi islamici che avevano accusato il Qatar di sostenere gruppi integralisti come Hamas e i Fratelli musulmani oltre a coltivare rapporti con l’Iran. La base aerea di Al Udeid è la più grande del Medio Oriente usata dall’aviazione militare statunitense e britannica e da altri Stati occidentali.
Il fondo sovrano qatariota Qatar Investment Authority, secondo Il Sole 24 ore, ha investito in Italia 5 miliardi di euro in immobili (controlla il prestigioso quartiere milanese Porta Nuova a Milano), ma è interessato anche ai settori della moda, delle fonti rinnovabili e della sanità privata. Destinato a diventare il maggior fornitore di gas, con la rottura progressiva delle fonti russe, il Qatar è importante per la nostra industria della Difesa. Sono 560 i militari italiani operativi nel gruppo interforze internazionale pronto ad intervenire, in caso di pericolo, durante i Mondiali. Un costo di 10,8 milioni di euro ma, secondo l’ambasciatore d’Italia a Doha, Paolo Toschi, abbiamo l’occasione di «mostrare alcune delle nostre eccellenze e capacità militari ma anche tecnologiche e industriali sotto gli occhi del mondo». A marzo 2022 si è svolto il Doha International Maritime Defence in contemporanea con il World Defence Show in Arabia Saudita.
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