Il grande spettacolo del cinema di Venezia

Grandi nomi e tanti giovani in laguna e molti anche i film che meritano di essere visti.

Alla mostra del cinema di Venezia Julie Andrews è stata premiata per la carriera, accolta da un pubblico in festa. Se lo merita, visto che a 83 anni è in gran forma, quest’attrice totale: canto, teatro, cinema, musical e, insieme, madre e sposa, attenta ai problemi sociali. Non è solo Mary Poppins. E si merita un premio anche Vincenzo Mollica, veterano della critica, personaggio dalla calda umanità.

La gente applaude loro e le star che sfilano felici sulla passerella tra giovani e giovanissimi che mai come quest’anno sono superpresenti al Lido. I giovani, studenti e appassionati, bivaccano in code lunghissime prima di entrare in sala a scoprire – loro che la disertano normalmente -, la magia del buio da cui appare improvvisamente  il chiaro del film. Speriamo in una inversione di tendenza, allora.

Di film interessanti alla mostra ce ne sono molti. Eccone alcuni. Steven Soderbergh è puntuale come sempre. Questa volta presenta The Laundromat, una storia vera basata sull’inchiesta dello scandalo finanziario dei Panama Papers. Raccontato attraverso la vicenda di una vedova agguerrita che vuole scoprire cosa si nasconda dietro una polizza assicurativa falsa. La donna tenace è Maryl Streep – in gran forma anche sul tappeto rosso –, in un cast dove agiscono pure il gatto e la volpe, ossia Gary Oldman e Antonio Banderas. Non sarà un capolavoro, ma piace, perché scorre ed è giustamente ironico e beffardo.

Piace molto anche Martin Eden del nostro Pietro Marcello. Liberamente tratto dal libro di Jack London ripercorre il nostro Novecento fra spezzoni documentaristici originali, trasferendo l’azione a Napoli, città-mondo portuale. Il ragazzo, umile marinaio che diventa uomo, che frequenta la borghesia e diventa scrittore autodidatta di fama, finendo poi soffocato dalla sua stessa vittoria nella follia, è specchio di giovani dal successo immediato di cui poi diventano vittime, perdendo l’innocenza. Il culto per la bellezza e la cultura può portare all’autodistruzione. Una folla svariata di personaggi – la giovane borghese innamorata, la vedova ospitale,  l’intellettuale malato…- circonda il giovane Martin in una Napoli pittoresca, guardinga e semplice. Film intenso, migliore nella prima parte e un po’ fotoromanzo e  un po’ fiction nella seconda, con un Luca Marinelli fin troppo perfetto e in odore di Coppa Volpi come miglior attore.

Ancora un giovane nel film fuori concorso The King di David Michod ispirato all’Enrico IV e all’Enrico  V di Shakespeare. L’interprete è Timothée Chalumet, affiancato da Lily-Rose Depp, figlia di Johnny, apparso in laguna, ma oscuro. Certi ricordi del Trono di spade sono inevitabili (le battaglie), ma il film è disinvolto, fresco, rapido nella storia di un ragazzo in conflitto con il padre che non vuol essere re e che, quando lo diventa, deve imparare a giostrarsi fra gli intrighi del mondo degli adulti e dei politici. Attuale.

Come lo è Babyteeth dell’australiana Shannon Murphy. Non è la solita storia compassionevole della quindicenne malata di cancro sostenuta da una famiglia ansiosa: il padre psichiatra, la madre pianista. Milla (Eliza Scanlen) si innamora di un ragazzo che fa il pusher, disinibito, e fa saltare gli equilibri  familiari. Escono dolori e frustrazioni degli adulti, fra sofferenza ed ironia. Mai una banalità. In corsa verso il Leone?

Non è invece piaciuto alla critica About Endlessness- Sull’infinito dello svedese Roy Andersson, Leone nel 2014. Eppure, il polittico desolato di storie sotto un cielo inesorabile e grigio dettato da una voce fuori campo e risolte in frammenti di vita, ha molto da dire. Dalla scia di prigionieri verso i campi di concentramento a Hitler sconvolto dalle bombe, dal prete che si sente abbandonato da Dio alla coppia che gioca col bambino, all’uomo che sogna di esser Cristo sotto la croce…: una umanità dolorosa che aspetta risposte. Verranno? Forse da non sottovalutare.

Gli sta accanto il lunghissimo lavoro The painted bird del cèco Vàclav Marhoul, che narra in un magnifico bianco e nero l’odissea di un bambino ebreo nella seconda guerra mondiale tra nazisti e russi, sottoposto ad angherie di ogni tipo, nel delirio banale che è il male. Si resta con la bocca amara dopo quasi tre ore, anche per le sequenze crude che hanno fatto fuggire una parte del pubblico. Eppure è un lavoro tutt’altro che banale. È infatti l’inferno creato dall’uomo che infierisce sugli innocenti e gli indifesi. Un inferno che vive anche oggi nei rapporti interpersonali, ad esempio tra padre e figlia, nel thriller di Atom Egoyan, Guest of honour.

È il teatro delle vita che si va dipanando a Venezia, anche in lavori differenti come  l’anticipo della nuova serie The new pope di Sorrentino che mescola edonismo, thriller ed estetismo con indubbia scaltrezza.

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