Grande musica a Roma
Meravigliosa Elektra di Richard Strauss, anno 1909, un atto unico delirante, l’inferno della donna privata del padre Agamennone dalla madre Clitemnestra e dall’amante di costei, Egisto. E per di più incerta sulla sorte del fratello Oreste, scomparso.
È sola, la sorella Crisotemide non l’aiuta, è troppo timida e buona. Le tragedie di Sofocle ed Euripide sono alle spalle del libretto di Hugo von Hofmannsthal che tuttavia nutre di umori di fine secolo e di inizio Novecento una tragedia di amore e morte, di vendetta e rancore potente e accecante. Non c’è respiro in questo lavoro dove una orchestra dal tumultuoso sinfonismo, immensa, dalle variazioni di colori – stridori acutissimi, sonorità plumbee, guizzi e terrori – forma una parete inscalfibile musicale che come un colosso macina sentimenti su cui le voci umane si inerpicano a fatica.
È espressionismo acuto, virale, ossessivo o è simbolismo?. La musica di Strauss al solito è ambigua, si nutre di voci diverse in arditezze o dissonanze glaciali trascinando ogni gruppo strumentale a “dire” il racconto dialogato dei personaggi. Fra loro Elektra brilla per furore e disperazione fino al ritorno del fratello che la vendicherà. Ma lei pagherà con la morte il suo inappagato amore, consumata dal dolore.
Lavoro che esige una concentrazione tremenda, un apporto intelligente delle voci, esso è un capolavoro tragico che ricorda la tela del Grido di Munch. “L’amore uccide! Ma nessuno trapassa che non abbia conosciuto l’amore”, grida Elektra. Spasimo dunque e furia nelle voci e nell’orchestra.
Antonio Pappano, dirige con slanciata sicurezza l’immensa partitura e l’orchestra risponde con una passione “esagerata” mentre le voci scavalcano per quanto possono la muraglia sinfonica. Fra tutte spicca la protagonista, il soprano Ausrine Stundyte, vero fenomeno vocale, tanto nelle arditezze acute quanto nei mormori, insieme ad un cast eccellente. Lavoro fremente di amore e morte, vendetta e negritudine, l’opera rimane un poema di struggimento di voci e di suoni, un cosmo possente e insanguinato.
Altra voce, altro suono e altra vicenda nel Don Giovanni mozartiano che ha aperto la stagione della Istituzione Universitaria dei Concerti (IUC). Tutto giovane, con una orchestra essenziale, 35 in tutto, eccellente per Mozart. Che Don Giovanni è questo?. Non è romantico, barocco, indugiante nel caratterizzare l’erotico, il tragico e il comico.
Il direttore Enrico Saverio Pagano, classe 1995, è elettrizzante anche sul podio, ama tempi rapidi, chiusure-lampo, non canta troppo nelle arie e nei concertati, ottiene un suono guizzante, talora forse secco, ma brilla per vivacità insieme all’Orchestra da Camera Canova da lui fondata.
Certo maturerà forse in poesia, misura, magari con qualche rotondità negli archi e nei legni. Ma i due atti scorrono spigliati e giovani, pieni di verve “toscaniniana”. Molto bello. Se il Don Giovanni di Vittorio Prato è un cantante-attore soddisfacente ( la sua è una bella voce pastosa), lo è pure il Leporello ottimo di Giacomo Nanni – un buffo perfetto – come è eccellente il tenore Marco Ciapini (ascoltare il suo ”Il mio tesoro intanto” è un raro piacere) come poi la Donna Elvira di Michela Guarrera, la Donna Anna di Sabrina Cortese, la cristallina Zerlina di Giulia Bolcato e tutto il cast assai promettente. Ci voleva un Don Giovanni così vivo, tutto d’un fiato. Speriamo sia stato inciso.
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