Grande musica a Roma
Momenti forti all’ultimo concerto da direttore stabile di sir Antonio Pappano con i complessi ceciliani lo scorso 15 aprile. E commozione da parte del maestro, dell’orchestra, del coro e del «caro pubblico» a cui egli da sempre ha rivolto un saluto introduttivo alla musica da eseguire. Già, perchè dopo 18 anni, Pappano lascia la direzione ceciliana per cedere il podio ad una star, l’ex pupillo di Abbado, ora molto cresciuto, l’inglese Daniel Harding (bravissimo e fra il resto anche pilota di aerei… ).
Pappano è cresciuto insieme alla sua «famiglia» come egli chiama i complessi. E sono davvero cresciuti in suono compatto e luminoso, in un repertorio allargato al contemporaneo e al Novecento che il direttore, musicista eclettico e comunicativo, ha però anche alternato ai classici, e portato avanti con tournée mondiali, e con incisioni, l’ultima la pucciniana Turandot.
Per il suo arrivederci, Pappano, vestito con il solito camicione nero largo, ha diretto con impegno totale tre “pezzi”. Ha iniziato con Dosàna nova, brano commissionato dall’Accademia in prima assoluta del veneziano Claudio Ambrosini che rievoca il flusso delle maree con una suggestione timbrica molto bella, seguito poi dai Quattro ultimi Lieder di Richard Strauss sui testi poetici di Hesse e von Eichendorff: qui il soprano luminoso Asmik Grigorian ha dato prova di una liricità intensa, di un fraseggio accattivante e di una duttilità espressiva che hanno fatto apprezzare il canto del cigno del vecchio Strauss, nostalgico orchestratore di malinconie e pensieri ultimi.
Poi, il gran finale con l’enciclopedica Decima Sinfonia opera 93, di Sostakovic: un epos fluttuante e imponente, screziato e stridente, vago e appassionato che l’orchestra ha espresso con un virtuosismo bellissimo in ogni sezione, guidata da un Pappano travolgente. Entusiasmo, è la parola giusta. E il pubblico ha tributato una standing ovation calorosa e commossa, anche perché l’orchestra ha rivolto al suo maestro un inatteso omaggio musicale inglese, ovvio, dato che Pappano – in frac – dirigerà all’incoronazione del “povero” re Carlo III. Ritornerà, sir Tony, come Direttore emerito, carica creata apposta per lui.
… E al Teatro Costanzi…
Glauco Mauri, attore, ha 93 anni ma non cede. Si mette in discussione ed eccolo a recitare nell’impegnativo Manfred, poema drammatico in tre parti per soli, coro e orchestra, da Byron, di Robert Schumann, anno 1848, l’anno delle rivoluzioni. Ed in effetti il poema byroniano porta in sé un sentimento iperomantico di angoscia, tormento, passione, di ansia di amore e amore possessivo per la vita che esprime compiutamente sia il temperamento dello scrittore inglese come quello viscerale del musicista.
La parte recitativa è complessa, lunga, alternata ad altre voci e all’orchestra che Mariotti conduce “col canto” con saggezza delicata, una musica piana e anche tumultuosa, ondivaga. Una partitura tutt’altro che semplice, ricca come è in Schumann di sottintesi psicologici profondi. Svelati, almeno in gran parte. Serata avvolta da qualcosa di misteriosamente bello e complice nell’affetto tra il vecchio attore e il giovane direttore, entrambi pesaresi.
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