Grande e tragico precursore
“Si tratta di uno di quei grandi papi che fanno epoca. Io ho sempre parlato di Wojtyla – esordisce il filosofo Massimo Cacciari – come di una grande figura tragica, agonica nel senso etimologico del termine”. Quindi di un combattente? “Da un lato, la sua è certamente un’immagine di chiesa militante e pellegrina, ben più di quella trionfante, che a volte ha assunto qua e là il suo pontificato. Ma l’elemento fondamentale è il primo che ho detto”. Quale fu la prima impressione quando apprese la notizia di un polacco sul soglio di Pietro? “Non conoscevo Wojtyla, né la sua opera. Sapevo che aveva una formazione filosofica e teologica molto solida, perché ne avevo parlato poco prima con Augusto Del Noce. E Augusto mi aveva raccontato di importanti opere che poi lessi con grande interesse. Potevo ben immaginare che, trattandosi di un papa polacco, si fosse esercitato in una dura lotta e in una dura esistenza in Polonia”. Perché lo definisce tragico? “È la tragedia ciò che questo papato vive. Davvero siamo ancora troppo vicini per comprendere fino in fondo il passaggio di epoca tragico, proprio di millennio, tra una chiesa militans et peregrina contro eresie che si commisurano alla grandezza del suo messaggio e una fase davvero assolutamente agnostica e indifferente. L’eresia è in qualche modo necessaria alla chiesa. Ora, invece, il nemico non è più l’eretico ma l’indifferente, l’agnostico, l’uomo del risentimento, l’uomo profetizzato da Nietzsche. La chiesa non ha capito che i più vicini negli ultimi due tre secoli erano proprio i grandi eretici, mentre gli illuministi sono i veri padri dell’agnosticismo, dell’indifferentismo, di questo assolutismo relativistico”. In questo contesto, papa Wojtyla è un anticipatore? “È paragonabile ai grandi papi medievali. La sua è la figura di colui che si batte ancora contro l’eresia, ma l’eresia non c’è più. Nell’ultimo decennio io credo che la tragedia di questo papa consista proprio nell’avere scoperto questo segreto, di aver strappato questo velo. Nel suo aspetto fisico viene rappresentata questa tragedia: egli finisce nel silenzio, nell’afasia, eppure la sua figura dice infinitamente più di ogni parola su questa tragedia”. Rispetto agli scenari del mondo, secondo lei, che ruolo ha svolto questo papa? “Sul suo ruolo nel crollo dell’ultima grande vera eresia ormai si è detto di tutto. Negli ultimi 10-15 anni, crollato quel muro e apparso quello che era davvero il nemico – non l’eretico – , il papa ha aperto la fase della nuova evangelizzazione, che ha un senso ben preciso: dobbiamo evangelizzarci. Quindi prima di tutto dentro la chiesa. E certamente questo ritengo sia il suo messaggio più forte”. L’idea della bellezza che posto occupa nel pensiero di Giovanni Paolo II? “È un papa slavo, quindi uno che crede davvero nell’icona, crede che la bellezza salvi. La bellezza a cui pensa è una bellezza ordinata, è la claritas di Tommaso. E anche qui il nostro Occidente dice: l’arte è morta. Solo che Hegel, quando parlava della morte dell’arte, intendeva che l’arte salisse nel paradiso delle idee, e quindi pensava alla morte dell’arte, della bellezza come sua resurrezione nell’idea, nella filosofia. Ora invece l’arte crepa finendo all’inferno. Basta visitare la Biennale”. Totale antitesi con il papa? “Il messaggio di Wojtyla è del tutto paradossale. E questa è di nuovo tragedia, agonia. Perché anche sul piano di un’estetica teologica, il messaggio del papa va al di là di ogni communis opinio, va al di là di ciò che esiste oggi nel campo dell’arte e dell’estetica. È totalmente contro, oltre, fuori”. Le sembra più difficile oggi il dialogo con la cultura laica? “Purtroppo il pensiero laico è totalmente preda di questa indifferenza relativistica agnostica che non comprende affatto la tragedia del presente. Qui non c’entra niente credere o non credere, c’entra cercare o non cercare, sentire una passione per la verità oppure credere che la verità sia soltanto veritates, come diceva Agostino: veritates quaerunt relicta veritatis. Non c’è più la verità, cerchiamo di far tornare i conti – questo in traduzione volgare. Da qui alcune domande: che compromesso fare con il mondo contemporaneo? e l’evangelizzazione significa sfidare il mondo con la paradossalità oppure tacitare, mettere tra parentesi, se non soffocare la paradossalità? Finendo per accontentarsi di un po’ di morale, un po’ di buon senso politico, e avanti popolo. “La figura di questo papa appella credenti e non credenti ad affrontare a muso duro questo problema”.