Gran Bretagna, e ora cosa accadrà?
31 milioni di elettori in tutto il Regno Unito sono tornati alle urne per le terze elezioni politiche in 5 anni. Il panorama politico è stato senza dubbio rimodellato per il prossimo decennio. Con un deputato ancora da assegnare, Boris Johnson è Primo ministro e guida un governo conservatore con una maggioranza di 76 seggi. La Brexit è imminente. Due leader dei principali partiti si sono dimessi. Decine di deputati non sono stati rieletti. Eppure, ed è frustrante, non possiamo rispondere adeguatamente alla domanda: e ora cosa accadrà?
Boris Johnson è stato eletto per una serie di slogan che non forniscono risposte a come gestirà il governo nei prossimi 5 anni. E ogni giorno i governi prendono decisioni che cambiano la vita. Semplicemente non va bene che gran parte del suo piano sia sconosciuto. Le chiavi del potere e della responsabilità del Regno Unito sono state date a Boris Johnson, ma in cambio ha fornito solo slogan.
Quello che sappiamo è che il Regno Unito lascerà l’Unione europea il 31 gennaio, ma la Brexit non sarà realizzata come ha promesso il Primo ministro. Il 1° febbraio inizierà il periodo di transizione durante il quale saranno prese le decisioni più significative e importanti per la Brexit che sarà compiuta solo quando si raggiungerà un accordo commerciale o le trattative si chiuderanno senza nessun accordo. Solo allora si potrà parlare di Brexit. Ma si possono fare solo delle congetture su quando accadrà.
Sarebbe un errore confondere questa maggioranza parlamentare con un reale senso di unità nel cosiddetto Regno Unito. Il sistema first-past-the-post (sistema maggioritario in ogni collegio ndr) ha generato una maggioranza per il partito conservatore, ma nasconde le divisioni che permangono in tutto il Regno Unito; tra città e città, tra giovani e anziani, tra chi era favorevole a restare (remain) e a chi a uscire (leave) dall’Ue. La crisi costituzionale di Brexit è stata semplicemente sostituita da altre due crisi costituzionali. Un rinnovato appello all’indipendenza scozzese fa seguito all’enfatica vittoria dello Scottish National Party in tutta la Scozia. I numeri per l’unità tra Irlanda e Irlanda del Nord sono diventati sempre più possibili, poiché per la prima volta l’Irlanda del Nord ha eletto più deputati favorevoli all’unità irlandese che deputati filo-unionisti.
Nei prossimi giorni, opinionisti e sondaggisti cercheranno di capire perché le persone hanno votato in questo modo. I partiti che hanno perso cercheranno di riflettere su cosa è andato storto e cosa potranno fare meglio la prossima volta. I politici dovrebbero avere il dovere nei confronti dei loro elettori di dire loro cosa succederà dopo. Non basta che le campagne di comunicazione di tutti i partiti durante queste elezioni siano state bollate come «indecenti, disoneste e non vere». Non dovremmo mai svegliarci il giorno dopo le elezioni con questa incertezza su quale tipo di Primo ministro uscirà dal numero 10 di Downing Street. Ci meritiamo di meglio. Ci meritiamo politici che siano onesti nel raccontarci le difficili scelte che devono essere compiute quando governano. Ci meritiamo di più che slogan e messaggi semplificati. Ci meritiamo piani che sono stati esaminati, testati e pronti per essere attuati con il nostro voto.
Non abbiamo risposte alla domanda: e ora cosa accadrà? Eppure ce le meritiamo.