Governo e giustizia

On. Palma, l’impressione diffusa è che il governo si sia occupato più di regolare i suoi rapporti con la magistratura che di assicurare ai cittadini una giustizia pronta. . . “Per quanto riguarda il processo civile sono necessarie riforme che restringano sempre più i tempi di trattazione delle singole cause. La commissione giustizia della Camera, in sede legislativa, ha già varato la riforma del processo civile. “In materia penale, il vero grande problema è quello di arrivare ad una corretta de-penalizzazione, cioè escludere dall’area penale tutta una serie di fatti che oggi, invece, invece, vi ricadono; in tal modo, otterremo una riduzione del numero delle cause. Anche a questo scopo è al lavoro una commissione presso il ministero della giustizia, che è ormai alla conclusione dei suoi lavori: il risultato è una legge delega che il governo presenterà al più presto, come disegno di legge, al vaglio del parlamento “. Si sostiene che determinate garanzie processuali attualmente non vengano usate per assicurare l’effettivo diritto di difesa, ma per prolungare artificiosamente la durata del processo: che cosa si può fare? “L’obiezione è fondata. Però, atscopo tenzione a ritenere che le garanzie possano essere barattabili con la velocità; le garanzie sono a tutela dei cittadini e anche se rallentano l’agire giudiziario sono finalizzate alla bontà della sentenza. Velocizzare i processi, a discapito delle garanzie, può portare ad una sentenza rapida ma non giusta”. Lei era un magistrato: come giudica i pronunciamenti del Consiglio superiore della magistratura che contrastano nettamente con l’orientamento del governo, in particolare sulla separazione delle carriere dei magistrati? “Il Consiglio superiore è titolare di un parere sulle leggi che riguardano l’organizzazione della giustizia e a questo dovrebbe limitarsi: un parere tecnico. In realtà il Consiglio superiore della magistratura è diventato a tutti gli effetti un organo politico, creando una grande confusione nei rapporti istituzionali. Credo che sia necessario finirla con questa rissa continua; il paese ha ritenuto, attraverso le elezioni, che il governo dovesse spettare al centro-destra, ed è ciò accadrà fino al 2006. I magistrati rispettino il consenso popolare e cerchino di dialogare con questa maggioranza, che non ha nessun interesse a porre in essere pratiche di tipo punitivo nei confronti dei magistrati”. Proprio a questo riguardo, il governo ha ribadito, in un suo recente disegno di legge, il divieto di partecipazione a manifestazioni politiche per i magistrati: che cosa ha indotto a questo passo? “Nello stesso codice deontologico creato anni fa dalla “Associazione nazionale magistrati” vi erano diverse restrizioni alla libera manifestazione del pensiero da parte dei magistrati. Certamente il magistrato può partecipare a convegni di natura scientifica o dottrinale; ma non può essere relatore ad un convegno di partito, manifestando così una vicinanza ad uno schieramento politico che incrina la figura del magistrato. Questi limiti derivano direttamente al magistrato dal lavoro che compie”. Un altro intervento del governo ha recentemente riguardato l’interpretazione delle norme da parte dei magistrati: non la ritiene una ingerenza in ciò che è proprio della funzione del magistrato? “La proposta del governo sull’ordinamento giudiziario dice semplicemente che il magistrato non può mai andare, nella sua interpretazione, oltre la lettera e lo spirito delle leggi. L’interpretazione estensiva, che cioè va a coprire dei vuoti che non sono coperti dalla disciplina giuridica, non è un’operazione consentita al magistrato. Questo intervento si è reso necessario per garantire la certezza del diritto e l’unicità dei comportamenti; attualmente i singoli magistrati possono decidere se dare o non dare un’interpretazione estensiva della norma: ne escono, su casi simili, sentenze differentissime: le sembra una cosa accettabile? ” Separazione della carriere o non separazione delle carriere dei giudici? “Esistono paesi democratici dove la separazione esiste e funziona bene. Ma il problema vero è che pubblici ministeri e giudici devono fare, ciascuno, il proprio mestiere. E se qualcuno intende passare dall’ufficio del pubblico ministero a quello del giudice, che ciò avvenga nei termini di maggiore rispetto per i nostri principi; non è possibile che un magistrato che ha fatto il pubblico ministero in una determinata città vada a fare il giudice nella stessa città, e si trovi a giudicare dei processi istruiti da coloro che erano i suoi colleghi in Procura fino a un momento prima. Il problema esiste, e bisognerebbe sedersi al tavolino: non si risolve certo col conflitto. Ma l’Associazione nazionale magistrati rifiuta il confronto”.

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