Governare l’accoglienza

Un'opinione favorevole all'attuale linea del governo in tema di immigrazione.

Città Nuova dà spazio a opinioni diverse, argomentate ed esposte con rispetto degli altri. Il dialogo è ciò che da sempre caratterizza la nostra rivista. Un dialogo che, prima di essere confronto, è ascolto. Ciò non significa che ogni singolo articolo rappresenti la linea del giornale, linea che è quella dell’unità e della fraternità universale. Quando, dunque, si specifica “opinione”, “se ne discute” o “dibattito”, significa che Città Nuova sta accogliendo sulle proprie pagine, cartacee o virtuali, il contributo di una persona o di un’organizzazione che cerca di spiegare il proprio punto di vista.
(La redazione di Città Nuova)

 

Spesso mi succede di confrontarmi con alcuni amici su come un cattolico o una persona che ha a cuore la fraternità universale possa approvare la linea dell’attuale governo in tema di immigrazione. Per molti questo è una fonte di sincero turbamento, perché dovrebbe essere scontato che se uno cerca di vivere il Vangelo non può rimanere insensibile di fronte alle sofferenze altrui, quindi è un atteggiamento inspiegabile o comunque lontano dalle posizioni della Chiesa e del Papa.

Pensando che l’atteggiamento giusto per portare avanti la fraternità sia cercare di mettersi nei panni dell’altro, conoscere e capire prima di giudicare in modo da approfondire meglio anche il nostro pensiero,  ho provato a fare alcune considerazioni nel tentativo di far comprendere le ragioni di un’alta percentuale di italiani che sicuramente non sono né stupidi, né egoisti, né imbambolati da un pifferaio magico.

La questione è che tutti sono d’accordo nell’impegnarsi a combattere la povertà, ed anche sul fatto che le migrazioni ci sono sempre state e sempre ci saranno, fanno parte della storia dell’umanità ed è un diritto delle persone muoversi per cercare un futuro migliore. Detto questo, penso che la soluzione al problema della povertà in Africa non sia incentivare una migrazione di massa verso l’Europa, ma piuttosto aiutare lo sviluppo dei Paesi africani.

Cosa che, tra mille difficoltà, sta avvenendo se il presidente della Banca mondiale Jim Yong Kim ha affermato che «negli ultimi 25 anni, più di un miliardo di persone si sono risollevate dalla povertà estrema. Nella storia non è mai stato registrato un tasso di povertà globale così basso. Questo è uno dei più grandi traguardi raggiunti dall’umanità ai nostri giorni».

Il vero problema dei Paesi africani, molto più che le risorse, è l’assenza in molti casi della democrazia e della libertà, che abbiamo visto essere premesse per uno sviluppo solido e duraturo, non necessariamente nelle forme a noi conosciute, ma magari rivisitate in chiave africana.

Proprio per questo motivo, appare a molti singolare che per aiutare queste persone in difficoltà si debba rinunciare alle regole che compongono il nostro stato di diritto, cioè che fondano il patto che riunisce i cittadini in una comunità chiamata Stato che provvede alla loro difesa, alla sicurezza dei confini, alla erogazione dei servizi essenziali con precedenza ai più deboli della comunità.

Da una parte c’è chi sostiene che, essendovi persone in mare bisognose di soccorso questa esigenza primaria debba venire prima di tutte le altre regole e, pertanto, che lo Stato italiano non possa decidere chi entra nel nostro Paese, quante risorse investire nell’accoglienza, e neppure dare indicazioni per un porto di sbarco.

Io penso che il problema è che non si tratta di un episodio singolo, di un naufragio di disperati che hanno deciso di mettersi in mare per tentare la fortuna, ma siamo di fronte ad un traffico organizzato di esseri umani che va avanti da anni e in estate si intensifica. Se si fa prevalere – secondo me – il principio che è sufficiente che dei delinquenti mettano in mare delle persone, quando e come vogliono, e ci sono poi mezzi che li prelevano e li portano in Europa in violazione di qualsiasi regola perché sono nel bisogno, in modo involontario si è alimentato quel traffico di esseri umani che si vorrebbe combattere.

Chi è solidale con il governo, nella stragrande maggioranza dei casi, è favorevole all’accoglienza, ma ritiene che questa debba essere governata ed esercitarsi nell’ambito di precise regole e limiti. Un po’ come in un dormitorio della Caritas, dove si stabilisce un numero massimo di persone da accogliere, normalmente vige la regola per cui non si può stare più di due-tre notti e poi per almeno due-tre settimane non si può tornare. Un sistema di accoglienza chiaro, con regole e limiti, che però nessuno accusa di disumanità o crudeltà, anche se lascia qualcuno in mezzo alla strada.

Ma allora quelle persone le lasciamo morire in mare? Le riportiamo in un Paese in guerra come la Libia?

Il contrasto reale al sistema dei trafficanti – ritengo –  passa per il blocco totale di queste traversate, che va garantito rispettando l’incolumità delle persone, ma impedendo loro di raggiungere l’Europa con questo canale, una volta raggiunta la quota massima che viene stabilita e che non può essere infinita.

Come detto in premessa si tratta di una opinione, largamente diffusa ma che rimane tale e nulla toglie alla buona fede e anche al coraggio delle persone che si prodigano a soccorrere i migranti in mare e che violano le disposizioni del governo italiano, democraticamente eletto, ritenendo di combattere una battaglia di civiltà.

Certo, la quotidiana contesa ad innalzare eroi e martiri da una parte e nemici da combattere dall’altra, che avviene in entrambi gli schieramenti che si contrappongono, non aiuta ad un confronto fermo ma aperto a quella reciproca comprensione che può portare ai compromessi propri della politica e del governo.

Il punto di partenza per chi crede nella fraternità è proprio la consapevolezza che le proprie ragioni sono limitate, non coprono i bisogni di tutti, e quindi non bisogna stancarsi di trovare una soluzione più larga e condivisa possibile, con il contributo anche di chi la pensa diversamente e ne ha tutto il diritto senza essere demonizzato o trattato con disprezzo.

 

 

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