Governabilità e immobilismo

Seconda puntata di analisi sulle ragioni e le origini delle differenti leggi elettorali vigenti nei Paesi democratici in vista della scelta indifferibile del Parlamento, dopo la riduzione del numero di senatori e deputati

Come evidenziato nella prima parte di questa analisi dei sistemi elettorali, lo sviluppo di grandi democrazie di massa, l’emergere di modalità di organizzazione e manipolazione dell’opinione pubblica (dalla stampa, alla radio e televisione, ad internet), la mobilità sociale per cui le persone si sentono sempre meno legate a vita a determinate collocazioni geografiche, hanno reso impossibile disporre di sistemi elettorali che veramente rispondessero ai loro modelli originari.

Il problema maggiore che si è presentato (e negli eventi italiani degli ultimi decenni ne abbiamo una chiara evidenza) è la difficoltà di mantenere il legame fra gli organismi dove si fa sedere la rappresentanza e la coscienza che si è lì per cercare il bene comune e non l’interesse della propria parte (per non dire della propria fazione). Il parlamento, anziché essere il luogo dove si rispecchia, pur nei limiti umani, “la nazione” come corpo unitario, si riduce troppo spesso ad uno stadio dove gruppi di fanatici mettono in scena le loro liturgie di parte.

Eppure nonostante questo è velleitario pensare che si possa avere “democrazia” senza l’uso di meccanismi di rappresentanza: tanto la cosiddetta “democrazia diretta” dell’uno vale uno, quanto il nuovo ossimoro della “democrazia illiberale” sono pericolose utopie che espropriano i cittadini del dovere di concorrere alla partecipazione solidale alla loro “comunità di destini” e alla costruzione del bene comune.

È dunque necessario trovare i meccanismi più adatti perché questo obiettivo possa essere raggiunto. Ora quali sono le difficoltà che si devono superare? La prima è che il corpo socio-politico si frammenti in un alto numero di raggruppamenti. La politica è l’arte del fare sintesi, del ricondurre attraverso un processo complicato molte volontà individuali a riconoscersi in una identità e in interessi collettivi. Se il sistema favorisce la frammentazione, non solo la sintesi finale diventa poi sempre più ardua, ma maggiore è il rischio che a farsi promotori della frammentazione siano soggetti interessati a difendere le loro posizioni settoriali, per non dire a promuovere le loro ambizioni personali.

Diciamo subito che la tesi secondo cui sono i sistemi proporzionali a favorire automaticamente la frammentazione è molto discutibile. In realtà, ogni sistema elettorale tende a conformarsi sulla realtà socio-culturale in cui deve vivere. Per restare al caso italiano, il sistema proporzionale della prima repubblica non ha consentito frammentazioni continue fino alla metà degli anni Settanta del secolo scorso (i partiti rimasero i sei-sette della fase della prima ricostruzione), mentre il sistema prevalentemente maggioritario della legge Mattarella del 1993 non impedì un alto tasso di frammentazione.

La seconda difficoltà che si deve affrontare è quella che di solito viene definita come la questione di governabilità. Poiché nelle democrazie moderne (significa da fine Ottocento in poi) di fatto il vero motore di produzione delle leggi e delle decisioni è stato il governo, si dice che se questi non è messo nelle condizioni di esercitare il suo ruolo senza essere continuamente sottoposto ad agguati e a veti parlamentari il sistema politico finisce nell’immobilismo con danno per tutti. Di qui la tesi che la legge elettorale debba produrre più che una rappresentanza della nazione, un governo con la solidità necessaria per portare avanti il suo programma che del resto, si afferma, è stato “consacrato” dal voto degli elettori. Dunque si può agire con vari mezzi che producano questi “governi forti”, consegnando ai “vincitori” della competizione elettorale quella maggioranza parlamentare che li blindi almeno sino alle elezioni successive.

Qui la prima puntata

 

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