I gommoni degli scafisti venduti dai cinesi
Che i cinesi siano dappertutto è quasi un luogo comune. Eppure, anche dove potrebbe sembrare che non c’entrano, andando a fondo si scopre che il luogo comune ha più di qualche volta un fondamento. Due esempi che ci toccano da vicino come italiani: che c’entrano i cinesi con gli sbarchi di profughi provenienti dalla Libia o con la raccolta differenziata della plastica?
Per quanto riguarda i migrantiche arrivanoin Italia, dopo la distruzione da parte di varie missioni militari europee delle vecchie carrette in legno o in vetroresina (che sono comunque ancora ricercate e utilizzate dagli scafisti, acquistate per pochi soldi in Egitto o in Tunisia), il natante gonfiabile (il cosiddetto gommone) va alla grande, tanto che l’Unione europea ha dovuto prendere provvedimenti restrittivi nei confronti del commercio dei gommoni, soprattutto di quelli cinesi.
La vicenda è venuta fuori qualche tempo fa, quando l’azienda cinese Zhejiang che produce natanti gonfiabili, ha iniziato a fare ottimi affari online tramite il famoso sito cinese “alibaba.com”, offrendo i suoi gommoni da 20-30 posti al prezzo di 500-2.000 dollari ciascuno, a seconda del modello, dell’entità dell’ordine e degli accessori richiesti. Il tipo più venduto veniva indicato in catalogo come “Refugee boat”. Sembra che la qualità dello scafo e degli accessori fosse piuttosto scarsa: erano pensati come natanti economici. Tanto più che l’articolo è soggetto a concorrenza: in un altro sito, questa volta non cinese ma statunitense (boatstogo.com), di Miami, si trovava, fino a non molto tempo fa, un modello extra-large indicato come “Refugee edition”, un po’ più caro ma dato per 60 posti. Ora non è più disponibile sul sito: difesa dell’immagine aziendale o esaurimento delle scorte?
Questi natanti, acquistati online da società cinesi e anche da privati, con vari giri arrivavano a Malta e in Turchia e venivano qui rivenduti legalmente, nuovi nuovi, sgonfiati e imballati, a società libiche. Ne sono stati trovati parecchi durante un controllo su una nave sospetta. Superfluo dire che i salvagente in questi casi sono ritenuti un accessorio non necessario.
Ovviamente sul gommone da 60 posti gli scafisti riescono a stipare almeno 200 migranti clandestini. Poi, dopo aver incassato le quote che ripagano abbondantemente il costo del natante, partono sperando di incappare per via in qualche nave dell’Operazione Sofia: in queste condizioni, senza il soccorso delle navi europee che stazionano nel Canale di Sicilia, a Lampedusa ci arriverebbero molto difficilmente.
Un altro esempio di intraprendenza cinese che ci riguarda è dove va a finire molta plastica della raccolta differenziata italiana. Una buona parte finisce in Cina, così come quella delle raccolte europee, statunitensi, giapponesi e di altri Paesi, come l’Egitto, per esempio. La plastica viene ceduta a società di intermediazione dietro pagamento di notevoli tariffe di smaltimento. Si caricano così delle navi che partono per la Cina. Sembra però che oltre la metà di questa massa di plastica che arriva nei porti del Mare Cinese, venga poi trasformata soprattutto da aziende a conduzione familiare, senza controlli e con notevole inquinamento delle acque. Ironia della sorte, come ha affermato il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara: «L’Italia invia in Cina masse di materiale da riciclo con costi enormi e poi riacquista dalla stessa Cina oggetti prodotti con quello stesso materiale senza alcuna garanzia di qualità».
Il problema nasce infatti dalla non-separazione dei rifiuti di plastica, soprattutto per tipo. In questo modo finiscono triturati in scaglie, insieme ad altre, anche materiali tossici. Senza controlli, questa miscela di plastiche può così finire, per non fare che un paio di esempi, nei giocattoli per bambini o nei contenitori per alimenti.
Certo, non è tutto così: una notevole parte della plastica rigenerata dai cinesi è controllata e trattata adeguatamente. Ma come distinguerla dall’altra? L’unico modo per difendersi è stato finora quello di intensificare i controlli sulle importazioni dalla Cina. Ma questo sistema, per quanto utilissimo, non può certo sopperire alla necessità di ripensare diversamente lo smaltimento della plastica proveniente dalle raccolte (semi)differenziate.