Gomes tra gloria ed oblio
Lo scorso marzo Lecco e Campinas hanno firmato una dichiarazione congiunta di amicizia. Cosa hanno in comune la città lombarda ricca di memorie manzoniane e la metropoli brasiliana già famosa in passato per l’industria del caffè? Per saperlo, facciamo una puntata nel capoluogo affacciato sul lago di Como, nel suo parco più bello e vasto con annessa villa intitolata al suo primo proprietario: il musicista brasiliano Antônio Carlos Gomes (1836-1896), nato appunto a Campinas da una famiglia di origine spagnola.
Costruita in stile eclettico neorinascimentale, Villa Gomes è l’attuale sede del Civico Istituto Musicale “Giuseppe Zelioli”, dotato di una biblioteca specializzata in musica. Nel parco circostante sono disseminate quaranta specie arboree di grande pregio, ma ancor più ne vantava quando il compositore era sulla cresta dell’onda: aveva infatti fatto arrivare dal Brasile piante rare insieme ad uccelli e animali esotici, per ricreare qui un angolo del suo Paese natale. Villa Brasilia, come egli l’aveva chiamata, era nel secondo Ottocento – l’età d’oro della lirica e il periodo della Scapigliatura milanese – anche luogo di ritrovo di letterati e artisti.
Gomes (si pronunzia Gomis) si rivelò uno dei migliori rappresentanti della scuola verdiana, unico non europeo ad aver successo in Italia come autore di melodrammi. In Brasile, dove è una gloria nazionale, viene considerato il maggior musicista delle Americhe del XIX secolo. È interessante ripercorrerne la storia.
Con un’infanzia nutrita di note (sia il padre che il fratello maggiore dirigevano una banda), il giovane Antônio Carlos era predestinato a intraprendere la carriera musicale. A quindici anni già componeva, a diciotto scriveva una messa. Segnalato alla corte di Dom Pedro II di Borbone, protettore di artisti e intellettuali, ottenne di essere ammesso al Conservatorio di Musica di Rio de Janeiro. Dopo il diploma, il buon successo delle sue prime due opere convinse l’imperatore a offrirgli una borsa di studio per studiare in Italia presso il Conservatorio di Milano. Nel 1866, in soli tre anni invece di quattro, Gomes ottenne il titolo di maestro compositore. I primi successi li conseguì con le musiche scritte per due riviste. Ma egli aspirava a mete più alte: iniziò così a comporre un’opera di ambientazione brasiliana, ispirandosi ad un romanzo dello scrittore romantico José de Alencar: Il Guarany (da notare che indigena guarany era la nonna di Antônio Carlos). Con questo stesso titolo l’opera ebbe la sua prima rappresentazione alla Scala nel maggio del 1870. Enorme il successo di pubblico e di critica. Gomes ricevette elogi da Verdi e fu insignito dell’Ordine della Corona dal re Vittorio Emanuele II. Inscenata nelle principali capitali d’Europa, l’opera trionfò nel dicembre dello stesso anno anche in Brasile, dove il musicista era andato a organizzare la première.
Di nuovo in Italia, sposò una pianista italiana e tentò di comporre lavori più ambiziosi (Fosca, Salvator Rosa, Maria Tudor), che però non rinnovarono il successo del Guarany, sia per carenza di tecnica drammaturgica sia a causa dei soggetti e libretti infelici. Col fiasco di Maria Tudor la carriera di Gomes poteva considerarsi finita in Italia, mentre in Brasile la sua fama non conosceva eclissi. L’ultimo grande successo l’ebbe con Lo schiavo, un’opera che molti critici ritengono la sua migliore. Scritta sotto l’influenza dell’abolizione della schiavitù in Brasile, andò in scena a Rio de Janeiro nel dicembre 1870.
1889: nella patria di Gomes viene proclamata la repubblica. Malgrado gli appoggi della massoneria alla quale egli era affiliato, il nuovo governo gli negò la pensione, in quanto aveva goduto la protezione della monarchia imperiale, pertanto a lui non rimase che ripartire per l’Italia dove forse pensava di stabilirsi per sempre, visto che fin dal 1880, mentre era all’apice della sua carriera, s’era fatto costruire a Maggianico, nei dintorni di Lecco, la sontuosa villa che conosciamo. Compose ancora un’opera, Condor, anch’essa di ambientazione esotica come Il Guarany e Lo schiavo, che rappresentata alla Scala nel 1891 non riuscì tuttavia a risollevare le fortune dell’autore.
In ristrettezze economiche a causa dei debiti contratti, Gomes fu costretto nel 1887 a vendere la sua proprietà italiana. Nel 1895 salutava definitivamente il nostro Paese per andare a dirigere il Conservatorio di musica dello Stato brasiliano del Parà, ma ormai anziano e gravemente malato di un tumore alla bocca morì poco dopo il suo arrivo a Belém.
Oltre alle otto opere lasciava canzoni, pezzi corali e per pianoforte. A Gomes non faceva difetto la personalità artistica; tuttavia non fu un innovatore. Dopo Il Guarany concepito nel più puro stile verdiano, non riuscì a evolversi stilisticamente come il maestro di Busseto dopo Rigoletto. Ciò nonostante va riconosciuta l’originalità di certe sue soluzioni; scrisse molta musica melodica eccellente e alcune arie operistiche sono entrate nel repertorio dei più famosi cantanti lirici. Dimenticato in Italia, tranne che dai cultori di musica operistica, non lo è in Brasile, dove tuttora vengono rappresentati i suoi melodrammi più noti.