Godot a Napoli
Un classico del Novecento, visto infinite volte, potrebbe non aver più nulla da dirci. Ma, assistendo alla messinscena di Francesco Saponaro, quelle parole s’illuminano di una nuova disperata e comica vitalità.
Due vagabondi, Estragone e Vladimiro, aspettano l’arrivo salvifico di un misterioso signor Godot, che rimanda sempre la sua venuta. In un luogo deserto transitano Pozzo e Lucky, un feroce padrone che tiene al guinzaglio il suo servo. Non succede niente in Aspettando Godot di Beckett. Si consuma l’attesa di qualcosa che non si sa. Ci sono il tempo dilatato, le pause, la dialettica vessatoria e solidale fra i personaggi. E un finale aperto che suggerisce un’eterna, tormentosa ripetitività.
Un classico del Novecento, visto infinite volte, potrebbe non aver più nulla da dirci. Ma, assistendo alla messinscena di Francesco Saponaro, quelle parole s’illuminano di una nuova disperata e comica vitalità. Si avverte quel senso di smarrimento attuale che fa dell’attesa una metafora della condizione umana. Attesa come puro atto di volontà per non sprofondare nel baratro del nulla.
Saponaro fa emergere il senso poetico e drammatico del testo collocando i personaggi dentro il teatro vuoto che si allunga fin nella platea in parte sventrata. Un eterno cantiere edile simbolo di una città disintegrata e corrotta, che attende la rinascita, dove al posto dell’albero c’è una scala d’alluminio. Nel concatenarsi delle battute e controbattute, con licenze dialettali, si crea un’alchimia contagiosa fra i bravissimi Peppino Mazzotta, Giovanni Ludeno, Elia Schilton e Fabio Bussotti.
Al Mercadante di Napoli.