Gli Utlimi deliri disarmati
Fa impressione leggere in un libro stampato alla fine di agosto, quindi prima del tragico 11 settembre newyorkese, “i poveri che oggi la popolano in eccesso hanno il compito di spopolarla, la Terra: di farne sparire l’ultimo ricco, l’ultimo benestante, di riempire l’occidente di affamati, di lazzaretti, di far crollare i grattacieli di Manhattan”. Si tratta del pessimismo preveggente di uno scrittore dotato, autore di grandi pagine sparse qua e là nei suoi libri destinati a durare (come Un viaggio in Italia, Albergo Italia, La pazienza dell’arrostito), specchi catastrofisti di un paese in rapida dissoluzione nel mondo in terminale naufragio. Si può non essere d’accordo con Ceronetti, io lo sono raramente, quanto ai giudizi senza sfumature, ma penso che leggerlo, ascoltarlo non sia tempo sprecato: è uno dei pochi intellettuali, non solo italiani, a mantenere e coltivare “disperatamente”senso intransigente e intrattabile dell’assoluto e del bello (contro ogni relativismo- indifferentismo), da cui unicamente derivano residue o nuove speranze, residui o nuovi sdegni, capaci di umanità non illusoria o retorica. Ceronetti, traduttore sapiente e dolorante di libri biblici e di poeti latini a lui congeniali, teatrante disarcastici smascheramenti, con le marionette, di quelle umane, è al di là del pessimismo stesso, che gli fa irridere tutto e tutti, chiese comprese (e sé stesso, nel suo agitarsi, compreso); è o tenta di approdare in una terra altra definitivamente lontana non solo da questo mal di vivere “moderno” e falsamente progressista, ma, in asso- luto, dal male di vivere, per lui certo e immedicabile. Infatti la pagina più toccante, e priva di veleni, di questo recente libro è proprio l’ultima, una preghiera perfettamente gnostica – gnostico è infatti, in senso proprio e religioso, l’autore, gnostico e càtaro con la sua ripugnanza per la carne, l’esistenza, il dolore del mondo visibile – elevata all'”Amore Infinito” separato (ma come, se è Amore?) da questo mondo. È utile ascoltare Ceronetti, a partire dalla prospettiva finale di questo slancio davvero e puramente devoto, nelle sue infelicità e ribellioni e “disarmati” anatemi perché, sceverando tra ciò che è accettabile e ciò che non lo è della sua condanna a 360 gradi, si colgono i diamanti e le pepite di un senso alto della cultura e dello spirito, davvero poco diffuso nelle paludi del mortificante, soffocante, omologante (e ignorante) consumismo in scena oggi ovunque. Basta ascoltarlo “al tempo”, come direbbe un direttore d’orchestra: sottolineando, a proposito dei bla-bla onnipresenti, “la bocca spalancata dall’impostura”, per l’orribile incultura montante, “tutte le finestre si affacciano su alberi del mito fulminati” (ovvero sull’estirpazione di radici culturali), o lo sgomento sia pure eccessivo, ma salutare col suo allarme, nel “rendersi conto di quanto sia sconfinata l’incomprensibilità di un essere umano, lavorato e straziato dalla civiltà”, e quello di fronte alla “massa assetata oltre ogni limite di puro insignificante”. Ci sono poi le pagine nero-esilaranti sul rapporto tra uomini e tumori, che non riescono a sconfiggersi l’un l’altro perché troppo si assomigliano, e le pagine bellissime, “leggendo” quadri di Rembrandt, sul suo amore per la prima e la seconda sposa; e poi sul valore umile-altissimo della pittura oltre ogni parola possibile. Un libro per niente comodo-rassicurante per il lettore; ma proprio da qui soffia la sua stimolante attrattiva.