Gli ultimi sbarchi. Lo stato di emergenza visto dalla Sicilia

Ultimo atto: l’attracco della nave Diciotti della Marina militare questa mattina al porto di Pozzallo. A bordo ci sono 305 migranti. Si tratta di 296 uomini, una donna e otto minori (di cui 5 minori non accompagnati)
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Le operazioni di sbarco sono iniziate di buon mattino e sono andate avanti per alcune ore. Dalla nave sono scesi 221 siriani, 62 egiziani, 18 pakistani, un palestinese e due persone del Bangladesh. Stanno bene, anche se ci sono parecchi casi di ipotermia. Sono stati dati loro dei vestiti asciutti e puliti e coperte isotermiche. Un uomo è affetto da asma, un altro è diabetico. Avevano con sé i farmaci necessari: sono stati visitati ma per loro, al momento, non servono cure particolari.

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sbarco Pozzallo, 14 aprile

È la fredda cronaca di una giornata come altre, come tante di questi ultimi mesi e di questi ultimi anni. I migranti saranno alloggiati nell’hotspot della cittadina. Da lì partiranno per altre destinazioni. Il Centro di Pozzallo, fino a ieri, ospitava 350 persone. Poi sono stati disposti dei trasferimenti. Cento persone sono state traferite in Lombardia, cento in Veneto e una cinquantina in altri centri siciliani. Nell’hotspot di Pozzallo sono rimaste 96 persone: 30 uomini adulti, 14 minori uomini e 13 minori donne (tutti accompagnati). Tre persone sono in ospedale. Centoventotto ragazzi, tutti minori non accompagnati, di diverse nazionalità, si trovano invece nel centro di contrada Cifali, tra Ragusa e Comiso. Lo sbarco. Uno dei tanti. Il primo dopo la decisione del governo di proclamare lo stato di emergenza, deliberato per far fronte all’eccezionale incremento dei flussi di migranti.

Un provvedimento che dovrebbe permettere soprattutto di velocizzare le procedure di identificazione e di espulsione di coloro che non hanno diritto a rimanere nel territorio nazionale.

Lo stato di emergenza avrà la durata di 6 mesi. Mezzi e poteri straordinari per affrontare le calamità e le emergenze, codice di protezione civile. L’obiettivo dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni è quello di dare risposte più efficaci e tempestive alla gestione dei flussi, in un momento in cui, nei primi 100 giorni del 2023, sono arrivati in Italia 31.200 migranti (al numero bisogna aggiungere gli arrivi odierni), con un incremento del 300% rispetto agli altri anni. La proclamazione dello stato di emergenza potrà permettere di sbloccare dei fondi e di dare dei nuovi poter alla struttura commissariale. Le deliberazioni non saranno soggette al controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti e si potrà quindi operare con più celerità. Il governo ha già stanziato 5 milioni di euro e se ne prevedono 20 per tutto il semestre dello stato di emergenza. Inoltre, si dovrebbero semplificare alcune procedure e rendere più difficile l’accoglienza. Potrebbe decadere lo status di protezione internazionale per chi rientra temporaneamente in patria. Si velocizzeranno sia le procedure per l’accompagnamento alla frontiera, sia quelle per il riconoscimento della protezione internazionale. Si punta a creare nuovi posti per l’accoglienza e accrescere il numero dei centri per i rimpatri. Se ne dovrebbe realizzare uno in ogni regione.

Per la nomina del nuovo commissario, si fa il nome dell’attuale capo del dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione del Viminale, il prefetto Valerio Valenti.

La decisione del governo ha già fatto registrare dure critiche da parte dell’opposizione. Il provvedimento viene invece accolto con favore in Sicilia dal presidente della Regione, Renato Schifani, anch’egli a capo di un esecutivo di destra. Lo stesso Schifani aveva chiesto più volte un provvedimento simile per affrontare il «fenomeno già preoccupante – fanno sapere da palazzo d’Orleans – e che non potrà che peggiorare con l’avanzare della bella stagione. La Regione siciliana sta facendo la propria parte, anche attraverso il dipartimento della Protezione civile regionale, ma necessita di tutto l’aiuto possibile, compreso, al più presto, un intervento concreto e organico da parte dell’Unione europea».

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Roberto Ammatuna, sindaco di Pozzallo

Da Pozzallo arriva invece la voce critica del sindaco Roberto Ammatuna, che conosce bene il territorio. È stato sindaco per tre mandati (dal 1997 al 2007 e dal 2007 ad oggi) e a suo parere questo provvedimento è eccessivo. «Lo stato di emergenza – spiega Ammatuna – viene dichiarato quando si verifica una situazione improvvisa, un evento drammatico. Il fenomeno dell’immigrazione è ormai strutturale da anni. Le variazioni sono dovute a vari fattori, ma si tratta di un fenomeno destinato a durare nel tempo. Cosa sarà cambiato tra sei mesi? Dicono che servirà a velocizzare le procedure dei centri di espulsione, ma esse sono gestite dalle prefetture e sono già abbastanza veloci. Si tratta di un provvedimento spot, forse deciso per dare seguito a quanto detto in campagna elettorale. Si parlava di blocchi navali e altro: ci si è trovati di fronte a una realtà complessa, difficile da affrontare e da governare, soprattutto non con soluzioni semplicistiche».

Ammatuna parla anche di «comuni lasciati da soli, di rapporti quasi inesistenti, su questo tema, con il Ministero dell’Interno. «Viene gestito tutto da Roma. I comuni di frontiera conoscono la situazione, sanno bene come si affrontano queste questioni. Inoltre, nella legge finanziaria, sia nazionale che regionale, non c’è nemmeno un rigo per il problema dell’immigrazione e per il sostegno ai comuni. Magari si destinano delle risorse per manifestazioni esterne, per spettacolo e turismo, ma non c’è nulla per i comuni che quotidianamente affrontano l’emergenza».

Ammatuna ritiene che il problema debba essere affrontato sempre di più in una dimensione europea. «Servirebbe istituire una forza navale europea, dare più spazio alle Ong che hanno svolto un grande lavoro, ma che ora sono molto limitate dai provvedimenti del governo. Loro salvano vite umane, ma la loro operatività è ridotta. Serve un maggiore raccordo con gli altri Stati europei, soprattutto con quelli più coinvolti su questo problema che riguarda gli approdi dal Mediterraneo, come Francia, Germania, Spagna, non certo con l’Ungheria. Bisogna avere la lungimiranza di guardare oltre, comprendere gli scenari internazionali, guardare alla Cirenaica e alla Turchia. L’Italia è in Europa e deve camminare insieme agli altri».

Ammatuna ha espresso apprezzamento per le recenti indicazioni della Corte di Giustizia Europea che ha censurato alcuni episodi accaduti in Italia negli anni passati (soprattutto 2017 e 2018) e che hanno riguardato il mancato rispetto dei diritti umani. Sguardo puntato anche sull’hotspot di Lampedusa, da sempre uno dei punti più critici del sistema accoglienza del nostro paese, anche per gli spazi ridotti e per lo straordinario ed eccessivo numero di approdi. «La Corte Europea fa bene a chiedere chiarimenti, a condannare, a sanzionare. Non dobbiamo dimenticare che siamo di fronte a delle vite umane. Alcuni diritti sono inviolabili».

Come vive la sua città la situazione dei continui sbarchi che dura da anni?

«La città è abituata a questa situazione. Di recente c’è, un po’ di apprensione perché gli immigrati, specie se restano un po’ di più nell’hotpsot, escono e vengono visti in città, magari a gruppi. Alcuni non rientrano e restano nel territorio o si spostano verso altre destinazioni. C’è a volte un po’ di apprensione, ma non è mai successo nulla. La situazione, tutto sommato, è abbastanza serena».

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