Gli stiliti e le colonne di fuoco
Papa Giovanni XXIII esortava i cristiani ad essere «così generosi da offrire a Dio anche mortificazioni volontarie […] oltre le penitenze che dobbiamo necessariamente affrontare per i dolori inevitabili di questa vita mortale». E aggiungeva: «Siano in ciò di esempio e di incitamento anche i santi della Chiesa, le cui mortificazioni inflitte al loro corpo spesso innocentissimo ci riempiono di meraviglia e quasi di sbigottimento».
E meraviglia e quasi sbigottimento suscita appunto la lettura del volume a cura di padre Michele Di Monte Colonne di fuoco: un titolo che sta a indicare gli anacoreti detti stiliti (da stylos, colonna) che nel Vicino Oriente, a partire dal V secolo, trascorsero la propria vita di preghiera e sacrificio su una piattaforma posta in cima a una colonna, rimanendovi per molti anni, spesso sino alla morte. Affrontando intemperie e privazioni, costantemente in lotta contro le tendenze del male per conseguire il premio celeste.
Questa forma così particolare di ascesi, che nella Chiesa greca durò anche dopo lo scisma e in Russia fino al XV secolo, voleva essere anche una testimonianza, una pubblica dimostrazione di fede in Dio e un esercizio di carità verso il prossimo. E in effetti, benché questi cristiani alieni da esibizionismo si ritirassero di solito in luoghi deserti e spesso impervi, non rimanevano a lungo isolati: la fama di una vita santa e dei miracoli ottenuti grazie alla loro intercessione attirava ai piedi della colonna un flusso spesso sorprendente di pellegrini, venuti perfino da luoghi lontani a cercare conforto e sollievo ai propri mali fisici e spirituali. Prova di genuino spirito evangelico sono dunque la compassione e tenerezza con cui essi accoglievano le masse diseredate e sofferenti.
Di norma, il monaco stilita era assistito da confratelli che, una volta al giorno, provvedevano a rifornirlo di cibo, sempre molto frugale, e di acqua. In qualche caso, attorno alla sua colonna sorsero dei monasteri e fu necessario erigere anche ricoveri di frasche e altri ambienti di accoglienza e ristoro per andare incontro alle necessità dei pellegrini: quasi un embrione di cittadella sacra.
Che essi fossero tutt’altro che degli isolati o degli estranei alle vicende del loro tempo è dimostrato dal fatto che non di rado vescovi e imperatori, impelagati nelle questioni ecclesiali e politiche, affrontavano da Costantinopoli e da altri siti viaggi disagevoli pur di ricorrere ai loro illuminati consigli come a degli oracoli. Ai resoconti di alcuni di questi testimoni autorevoli dobbiamo pertanto la conoscenza degli insegnamenti, delle durissime prove sopportate, delle lotte contro i demoni e dei prodigi operati dai più famosi stiliti, veri atleti del Vangelo.
Edito da Monasterium, casa editrice specialista in spiritualità monastica occidentale e orientale, Colonne di fuoco riporta le vite di 5 di loro, una delle quali tradotta per la prima volta in lingua italiana: Simeone il Vecchio (V sec.), ritenuto il padre di questa forma di ascetismo tipica dell’Oriente cristiano; Daniele (V secolo), che visse su due colonne gemelle tra loro collegate; Simeone il Giovane (VI sec.); Alipio (V-VII sec.) e infine Luca (IX-X sec.), che a differenza degli altri ebbe la sua colonna posta nel bel mezzo di un quartiere: l’Eutropio di Calcedonia.
Tramontata l’epoca degli stiliti, rimane sempre attuale l’esemplarità di vite donate a Dio e al prossimo. Le figure qui presentate con le loro incredibili penitenze e l’attenzione alle piaghe degli uomini affascinano chi avverte il bisogno di autenticità e sconvolgono al tempo stesso chi è assuefatto alla società pigra e opulenta in cui viviamo. Con la loro follia dell’amore esse costituiscono una sfida alla sapienza unicamente umana, che ritiene stoltezza il Vangelo e la croce di Cristo. Di qui l’interrogativo di padre Michele Di Monte, fondatore dell’Eremo degli Angeli di Vendrogno (LC) nella sua Introduzione al volume: «È possibile vivere il Vangelo senza essere folli? Ed è possibile diventare santi senza vivere il Vangelo?».
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