Fuori gli stereotipi dalla scuola

«Le ragazze studiano meglio, sono più precise e hanno migliori performance. Solo alla fine del liceo la situazione si ribalta e i ragazzi tirano fuori il meglio di sé, più delle ragazze». In una frase l’insegnante – ignara – è riuscita a darmi tre cattive notizie

L’insegnante, durante il colloquio a scuola, cerca di confortarmi sull’andamento asimmetrico della classe. «È normale che i maschi nei primi anni del liceo siano più lenti e facciano più fatica. Le ragazze studiano meglio, sono più precise e hanno migliori performance. Solo alla fine del liceo la situazione si ribalta e i ragazzi tirano fuori il meglio di sé, più delle ragazze». In una frase l’insegnante – ignara – è riuscita a darmi tre cattive notizie: primo, i più lenti devono adattarsi ai più veloci, come se la rapidità fosse di per sé un valore; secondo, i ragazzi alla fine sbocciano e superano le ragazze, come si trattasse di una gara; infine, la dedizione allo studio delle ragazze non le porterà da nessuna parte (un atavico destino).

L’affermazione dell’insegnante, ahimè, rivela alcune verità. I ragazzi faticano, sono disordinati e sconnessi ma dal caos verrà fuori il loro talento. Così in fondo pensano la società e la scuola. I ragazzi che faticano a scuola sono costretti a guardarsi intorno: il mondo è pieno di uomini di successo che andavano male a scuola. Sono diventati attori, dj, youtuber, persino imprenditori, proprio in virtù delle loro lacune. Ma è evidente che questo modello didattico sia assurdo. Cosa impedisce di immaginare modelli didattici rispettosi dei tempi di crescita, evitando la competizione e valorizzando le rispettive attitudini? Per le ragazze il messaggio è ancora più perverso. Il loro talento consiste nell’essere ottemperanti e giudiziose, tutte qualità che ottengono qualche risultato nei primi anni della scuola superiore ma poi quando verrà il tempo di tirare fuori personalità, temperamento, autonomia… a poco varranno. E allora a che serve studiare? Quanti anni ci vogliono poi per restituire alle ragazze il gusto di fare di testa propria, di scostarsi da quella norma così bene interiorizzata a scuola? Molte di loro non ce la faranno o rinunceranno a cercare la propria strada. Alcune insegnanti hanno deciso che le differenze di genere sono punti di partenza e non di arrivo. Bisogna adoperare strumenti appropriati perché ciascun ragazzo/a sviluppi il suo talento.

Due colleghe ingegnere di IBM, in collaborazione con il Dipartimento di Informatica della Sapienza di Roma, hanno da un anno avviato il progetto “Nerd. Non è roba per donne”, con l’obiettivo di combattere l’idea che l’informatica sia pratica solo maschile e per smanettoni amanti dei giochi elettronici. Il progetto si rivolge alle ragazze delle superiori: in pochi mesi imparano a programmare applicazioni per cellulari senza necessità di alcuna competenza pregressa. Nerd mira a rispondere alla domanda fortissima di competenze informatiche e digitali delle imprese europee (secondo la Commissione europea, 900 mila posti di lavoro). Se non le scoraggiamo da giovani, anche le nostre ragazze si faranno strada.

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