Gli Stati Uniti stanziano 95 miliardi di aiuti militari
Nei giorni scorsi gli Stati Uniti d’America hanno stanziato 95 miliardi di dollari in aiuti militari, di cui circa 60 per l’Ucraina, 26,4 miliardi per Israele di cui 9 miliardi in aiuti umanitari per la popolazione palestinese, 8 miliardi per la sicurezza nell’indo-pacifico cioè in aiuti a Taiwan. Si è trattato di un voto bipartisan, con la dissociazione di una parte del Partito Repubblicano che è contrario a questi aiuti non per una indole pacifista ma perché ritiene che l’America si debba concentrare sul fabbisogno interno e diminuire la presenza negli scenari di conflitto mondiali, il famoso “America first”.
Quali sono i temi che appellano la nostra coscienza di persone che desiderano la pace, sono sensibili ai richiami del papa e certo non amano la violenza come strumento di risoluzione dei conflitti? Intanto il dibattito sul diritto di difesa o, si sarebbe detto in termini più ecclesiali, sulla “guerra giusta”.
Vi è indubbiamente un ampio consenso politico sul diritto alla difesa nei confronti di un Paese aggressore, e questo diritto viene attribuito all’Ucraina, negli Stati Uniti come si è visto, ma anche in Europa e in Italia, con solo Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi Sinistra che propendono per una rinuncia unilaterale alla difesa (la “bandiera bianca” evocata dal papa).
Su Israele si confrontano il diritto all’esistenza dello Stato ebraico con quello alla sopravvivenza e all’autodeterminazione della popolazione civile di Gaza, e qua il consenso internazionale è minore sulla reazione israeliana che ha comportato un elevato numero di vittime civili. Gli Stati Uniti, pur disapprovando la linea del governo israeliano, rimangono sulla linea del dialogo e non interrompono gli aiuti militari.
Altro tema interessante è quello del ruolo degli Stati Uniti sullo scenario mondiale: secondo alcuni analisti, proprio un certo disimpegno degli Usa dai conflitti regionali in altre parti del mondo è una delle cause della recrudescenza di conflitti, mentre soprattutto a sinistra permane un certo antiamericanismo di fondo, che identifica gli Usa come potenza imperialista, dimenticando spesso anche nel celebrare il 25 aprile il contributo determinante di quel Paese.
Certo è che in questi anni, e lo sostiene ad esempio Dario Fabbri, direttore della rivista Domino, ci si è resi conto anche negli Stati Uniti che l’assunto secondo cui tutto il mondo, se fosse stato libero da dittature e autocrazie, avrebbe scelto di vivere come l’Occidente, è falso. Non è così.
Quindi come si esce da questa contrapposizione forte tra sistemi non democratici come Russia, Cina, Iran e Corea del Nord e democrazie occidentali? Come si fanno passi avanti? Personalmente credo che più che il disarmo unilaterale, l’uscita dalla Nato o la resa di fronte ad aggressioni ai sistemi democratici si debbano far crescere le Istituzioni internazionali, dove gli Stati si parlano.
Far crescere non in senso di burocrazia, numero di dipendenti, o pericolosa tendenza all’accentramento delle decisioni e del potere politico nelle mani di poche persone, ma in autorevolezza, efficienza e rigore morale.
Rinunciare a quella funzione “salvifica” dell’Occidente che ci siamo auto-attribuiti nel tempo e, come persone attente ai valori spirituali, ricordare a tutti che i sistemi politici e i sistemi economici pur efficaci, senza valori etici non sono affatto attrattivi.
È proprio la presenza di valori condivisi e vissuti che dà un’anima alle nostre democrazie, al nostro libero scambio economico. Tra questi la fraternità universale, che ci ricorda come siamo tutti assieme su questo pianeta e ci dobbiamo stima e rispetto reciproco nel profondo.
L’Occidente non è attrattivo perché gli manca un’anima, e forse in culture meno sviluppate delle nostre i valori spirituali sono ancora importanti. Lungi dall’evocare teocrazie che fanno solo disastri, va trovato un modo pacifico, rispettoso ma assertivo di portare valori e valore umano sulla scena politica.
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